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 2014  agosto 23 Sabato calendario

HITLER COME ANNIBALE, LE RIVINCITE FALLITE

Due grandi guerre in un quarto di secolo, 1914-18 e 1939-45. Ma perché, se nei venti anni intercorsi non si fece altro che deplorare la prima terribile esperienza bellica e ritenere inverosimile che si tornasse su una strada della quale erano apparsi chiari gli enormi costi, rischi e strascichi di vecchi e nuovi problemi? E, poiché la rivincita del 1939 non modificò in alcun modo il verdetto del 1918, ci si può anche chiedere se avesse un senso tentare di modificarlo.
Sono, beninteso, domande antistoriche. Se dopo la Prima scoppiò una nuova guerra mondiale, vuol dire che ce n’erano tutte le ragioni. Eppure, il verdetto della Prima guerra era stato netto. La Germania era uscita del tutto sconfitta. La guerra aveva insegnato che la potenza militare non basta a decidere un conflitto globale nell’epoca della civiltà industriale, e che il sistema delle alleanze col quale si affronta un conflitto è un’altra determinante fondamentale del suo esito. La Germania, militarmente potentissima, non aveva il complesso delle risorse di cui disponeva il campo avverso, e il suo sistema di alleanze non aveva il carattere complementare e globale di quello opposto.
Il primo conflitto aveva pure non poco precluso le possibilità del Reich tedesco di ripetere la sfida, come si vede se si esamina a fondo la Germania del 1939 rispetto a quella del 1914, senz’altro più forte e potente di quella hitleriana. La pace del 1919 le aveva già spezzato le ali non solo per le condizioni finanziarie draconiane ad essa imposte dai vincitori, ma anche per l’autentica e grave deminutio politica che in vario modo quella «pace cartaginese» le procurò, in parte per la perdita di un buon 15 per cento del suo territorio (passò da 540 mila a 470 mila chilometri quadrati), in altra e maggiore parte con l’isolamento politico in cui in ultimo essa si era ritrovata in quella guerra. Un isolamento che in seguito la Germania sembrò rompere. Nel secondo conflitto essa entrò alleata col Giappone e con l’Italia. Nel primo aveva avuto al suo fianco solo i già consunti imperi asburgico e ottomano. Il patto di Adolf Hitler con Mosca del 1939 fu quel genere di trattato raffigurato in varie caricature apparse sulla stampa occidentale: un accordo fra due banditi, che lo firmavano con la destra, nascondendo con la sinistra dietro la schiena il pugnale assassino. Altra cosa era la rinnovata alleanza globale delle potenze occidentali.
La stessa potenza militare tedesca del 1939 non era quella del 1914. Non c’era più una grande marina. C’erano una forte aviazione e un esercito dotato di armi e strategie nuove. Ma i trionfi del 1939-40 sfiorirono ben presto nell’estate del 1940, con le battaglie aeree nei cieli inglesi, e nel dicembre del 1941, a poche decine di chilometri da Mosca. La reale dimensione della forza di Hitler apparve chiara già allora, minore di quella del 1914. Gli Alleati lo avevano ben capito e, quando l’esito della guerra pareva ancora incerto e lontano, fissarono il loro obiettivo ultimo nell’unconditional surrender , la resa incondizionata del nemico: il che poteva sembrare un eccesso di fiducia e una velleità di ripetere e aggravare la pace cartaginese del 1919, ma era solo un calcolo non errato delle forze in campo.
A pensarci, la vicenda richiama quella che più di venti secoli prima aveva opposto Roma e Cartagine. Anche quello fu, a suo modo, un conflitto globale e, soprattutto, lo divenne per il suo esito. Le due potenze si affrontarono in due lunghissime guerre, dal 264 al 240 e dal 219 al 201 avanti Cristo. Nella memoria generale è rimasta impressa la seconda, con le imprese memorabili di uno dei più grandi capitani della storia, quale fu Annibale, fino alla sua vittoria, famosissima, di Canne (216 a.C.); con la lunghissima controffensiva romana, conclusasi con lo sbarco in Africa e con la vittoria risolutiva riportata a Zama (202 a.C.) da un altro grandissimo capitano, ossia Scipione l’Africano; e con la «pace cartaginese» che i Romani imposero ai vinti.
Anche in quel caso la Cartagine di Annibale sembra più potente di quella sconfitta nel 240 a.C., ma anche in quel caso l’apparenza inganna. Era stata, infatti, la guerra precedente a tagliare le unghie alla tigre cartaginese. Iniziando quel conflitto Roma non era ancora una potenza navale, e nel corso della guerra lo divenne, superando nettamente l’avversaria anche sul mare, e senza che in seguito Cartagine potesse più competere con lei sul campo che era stato fino ad allora la grande arena delle sue fortune. La guerra aveva, inoltre, escluso i Cartaginesi dall’Italia e dalle isole italiane, privandoli di ogni prospettiva al di là delle acque africane.
Insomma, le misure della storia erano già state largamente prese in quel primo conflitto. Poi Cartagine sembrò riprendersi. Si costruì un suo nuovo spazio imperiale in Spagna. Trovò nella famiglia dei Barca la guida di un partito nazionalista e revanscista di grande forza, e in Annibale, che ne era un rampollo, un capo militare all’altezza di ogni più ardito progetto. La sua fortuna nella guerra fu inizialmente travolgente. Si trovò anche un alleato, che si aveva ragione di ritenere molto importante, in Filippo V di Macedonia. Ma Roma aveva ormai acquisito dimensioni e potenza impossibili da superare in quel contesto storico, e dimostrò una saldezza interna e una saggezza politica anche maggiori della sua granitica potenza militare. Anch’essa lo sapeva. Mai, anche dopo Canne, ebbe la minima esitazione nel proporsi la totale e finale liquidazione della rivale. Secondo la tradizione, il Senato inviò allora una delegazione a incontrare Terenzio Varrone, il console sconfitto e gravemente responsabile di quel disastro, a ringraziarlo di aver avuto fiducia nelle sorti della Repubblica. E Annibale stesso lo doveva in qualche modo sospettare, poiché non ardì porre alla Roma prostrata da quella sconfitta l’assedio che i suoi ritenevano risolutivo.
I paralleli storici sono sempre arbitrari e ingannevoli, e niente è fatalmente deciso dai precedenti. La Seconda guerra punica e la Seconda guerra mondiale ebbero la loro genesi nella forza delle cose, e solo in astratto si possono ritenere due tragedie evitabili. Però, i paralleli sono suggestivi e, presi con le dovute precauzioni, finiscono sempre col dire qualcosa. Cartagine era tutt’altra cosa dalla Germania del Novecento, e il campo dei vincitori del 1918 e del 1945 era ancor più lontano dall’equivalere a quella grande Roma antica. Eppure, alla suggestione di un doppio conflitto in mezzo secolo con tante e tali conseguenze nel III secolo a.C. e nel XX secolo d.C. si può indulgere con la certezza di non cedere solo alla tentazione di un ozioso wargame (che, peraltro, non sarebbe poi nulla di riprovevole).