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 2014  agosto 23 Sabato calendario

LA GIOIA DELLA JIHADISTA: «VOGLIO DECAPITARNE ALTRI»

Non era musulmana integralista. Poi, adolescente, si è convertita al radicalismo ed è partita col «battaglione dei migranti». E, ora, da Twitter farnetica che vuole «essere la prima donna a uccidere un terrorista americano o un britannico».
Per Khadijah Dare i terroristi non sono quelli che tagliano le teste e che massacrano i cristiani in Iraq. Per Khadijah Dare, londinese, i terroristi sono gli occidentali, i non credenti, «gli invasori». La «piccola califfa» dell’Isis, ventiduenne, fotografa il figlioletto «Isa» di quattro anni sorridente con il kalashnikov in mano e dopo la decapitazione del giornalista sogna di emulare John il boia, pure lui inglese.
La storia di una giovane moglie, di una giovane madre che lancia brevi e terribili proclami dai social network. E che è nel mirino dei servizi segreti di Sua maestà. Ma a Channel 4 qualche mese fa rilasciò una lunga intervista. Ha fatto carriera nei ranghi del «battaglione dei migranti», si chiama così l’esercito degli espatriati britannici (e non solo britannici) che si sono concentrati nella città di Raqqa controllata dall’Isis. Lì, è arrivata nel 2012.
«Ho studiato al liceo e mi sono iscritta alla facoltà di comunicazione e media», dichiarava serafica e coperta dal velo nero all’emittente televisiva. Fino a quindici-sedici anni, nella zona di Lewisham, il quartiere sudorientale della capitale, non professava alcuna fede. Non portava il niqab. Non frequentava la moschea. Le piaceva il calcio. Le piaceva cantare e ballare. E aveva un debole per il cibo cinese (lo ha ammesso a Channel 4 ). L’infatuazione è cominciata (dicono le sue compagne dell’epoca) spulciando i siti Internet dell’estremismo islamico. E forse incrociando qualche predicatore: nella stessa zona si è «formato» Michael Adebolajo, il killer del soldato Lee Rigby, assalito a colpi di machete vicino alla caserma di artiglieria di Woolwich, sempre il sudest londinese. Un caso?
«Era affettuosa e dolce», raccontano le sue vecchie amiche, intervistate dai quotidiani. La «califfa» dell’Isis si è trovata marito per volere della mamma. Un matrimonio combinato in un viaggio in Turchia. Ma Abu Bakr, di cittadinanza svedese e origine pakistana, le è piaciuto. Si è ufficialmente fidanzata. Per un po’ i due sono rimasti lontani. Lei a Londra. Lui, militante jihadista sunnita, a Stoccolma. Alla fine si sono riuniti, in Siria e in Iraq col loro figlioletto. Stanno a Raqqa. Hanno una casa. Hanno un suv che Khadijah usa per andare a fare la spesa (le telecamere la seguono mentre guida con il mitra al fianco, sul sedile).
Viveva a Londra. «Quando ho messo il velo mi hanno apostrofato: vattene, tornate nel tuo Paese. Ho risposto: sono nata qui, dietro l’angolo». È volata via per davvero, col carico di indottrinamento. E ha imparato a sparare e a usare bene i social network, strumento essenziale di comunicazione anche per i fanatici. «Smettetela di essere egoisti» ammoniva i fratelli di fede. E li incitava: «Venite in Siria». Ha persuaso un’amica che adesso a Raqqa occupa una casa vicina.
Su Twitter si nasconde dietro diversi pseudonimi: «Umma Khattab, la migrante in Siria» o «Umma Isa, la mamma di Isa». E tanti altri. Inneggia alla decapitazione del giornalista americano su Twitter. Mostra immagini di tramonti e di teste mozzate. Ai reporter televisivi di Channel 4 , da abile propagandista, aveva concesso di riprendere una scenetta familiare: lei che accoglie il marito Abu Bakr esausto dopo i combattimenti e gli prepara la cena. Lui che si sdraia su un materasso e le dice: «Domani sarà peggio». Lei che lo sprona: «Devi essere molto duro». Il bimbo, Isa, è lì, che osserva le armi. E’ il nuovo film dell’orrore della «califfa» londinese. Venuta da nulla. Arruolata per le missioni di proselitismo, di guerra psicologica e di guerra vera.
Fabio Cavalera