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 2014  agosto 23 Sabato calendario

ALL’EUROPA SERVE UNA CURA DIVERSA DA QUELLA USA

Sì, siamo di fronte alla Grande Divergenza Transatlantica delle economie. Non solo al cosiddetto, non infrequente decoupling tra America ed Europa, cioè all’economia degli Stati Uniti che cresce e a quella dell’Eurozona che è stagnante, quindi alla necessità di due politiche monetarie opposte, una che frena, l’altra che stimola. Se fosse solo così — come alcuni commentatori internazionali lasciano intendere — sarebbe tutto più facile: il presidente della Banca centrale europea Mario Draghi non dovrebbe fare altro che affrettarsi a seguire la strada tracciata negli anni scorsi dalla Federal Reserve di Washington, cioè stimolare l’economia immettendovi capitali, in teoria senza limiti, attraverso l’acquisto di titoli di ogni genere, compresi quelli pubblici.
Il problema è che nella Grande Divergenza c’è molto di più di qualcosa di congiunturale e quel che funziona negli Stati Uniti con ogni probabilità non funziona nell’eurozona: anzi, nell’area della moneta unica condivisa da 18 economie diverse avrebbe probabilmente effetti negativi. Le differenze tra le due sponde dell’Atlantico sono strutturali e il dopo Grande crisi lo sta mettendo in evidenza: due economie diverse hanno bisogno di interventi diversi.
A partire dal 18 settembre, la Bce inizierà le operazioni chiamate Tltro, cioè darà denaro alle banche dell’eurozona affinché queste lo utilizzino per finanziare l’economia reale, cioè imprese e famiglie. Non potranno usarlo per fare altro. Si tratta di una scelta di politica monetaria «non convenzionale», straordinaria, e si vedrà se contribuirà a rilanciare l’economia e di quanto. I critici di Draghi, però, dicono che la Bce è in ritardo e dovrebbe fare molto di più: l’ultimo a indicarglielo in toni perentori è stato il professor Richard Portes della London Business School in un commento sul «Financial Times». Questa scuola di pensiero dice che per evitare i rischi di deflazione (calo dei prezzi) nell’area euro e per fare tornare la crescita la Bce dovrebbe acquistare sui mercati titoli di ogni genere, come ha fatto la Fed. In parte, Draghi potrebbe farlo (anche se forti ostacoli verrebbero dall’opinione pubblica della Germania e dalla Bundesbank). Sarebbe il cosiddetto Quantitative Easing a 360 gradi.
Il limite di questa impostazione l’ha però chiarito lo stesso Draghi all’ultima conferenza stampa della Bce. Nei Paesi che non hanno riformato e reso pro business le loro economie, si può mettere a disposizione degli imprenditori quanto denaro si vuole, via politica monetaria o via stimolo di bilancio, ma se le strutture della burocrazia, della pubblica amministrazione, della giustizia, del sistema fiscale, del mercato del lavoro disincentivano o addirittura impediscono l’attività economica, i risultati saranno scarsi. Detto diversamente, se il Quantitative Easing ha forse un’efficacia in un’economia flessibile come quella americana, in Paesi a economie rigide che non hanno fatto le riforme strutturali pro business — ad esempio Italia e Francia — avrebbe effetti decisamente inferiori. La chiave, insomma, nell’eurozona sono le riforme economiche: la Spagna e il Portogallo, che di recente ne hanno fatte alcune, hanno appena annunciato una crescita attorno al 2 per cento (mentre per la Germania la contrazione è stata tecnica — ha detto Draghi — dovuta a un trimestre precedente molto forte e alla crisi tra Ucraina e Russia).
Inoltre, un acquisto di titoli pubblici da parte della Bce avrebbe l’effetto di ridurre ulteriormente i costi di rifinanziamento dei debiti pubblici, già oggi ai minimi: il che può essere visto in modo positivo ma anche come disincentivo per i governi a varare riforme. Su questo versante, insomma, la Bce può fare molto meno rispetto alla Fed americana. Paga il prezzo della creazione della moneta unica in un’area economica che non era pronta per riceverla in quanto non competitiva o a diversi livelli di competitività e che tale è rimasta: questa è la vera differenza tra America ed Europa.
Cosa può fare, dunque, Draghi di ritorno dal seminario dei banchieri a Jackson Hole? Comprare sui mercati debito delle imprese e delle famiglie (cartolarizzato in pacchetti) sarebbe positivo: spesso, non sono le banche a non volere dare prestiti ma i soggetti dell’economia reale a non chiederli perché molto indebitati e in fase di deleveraging (riduzione del debito). È però un’operazione tecnicamente non facile. Secondo — e questo è già in atto — la Bce può portare a termine in modo inflessibile la valutazione dello stato di salute del sistema bancario europeo, per renderlo trasparente e affidabile: troppo spesso le banche sono state un freno alla crescita a causa di bilanci non in ordine che impedivano loro di prestare all’economia. In questo, gli Stati Uniti sono un modello di successo. Per il resto, però, sta ai governi nazionali rendere efficienti e competitive le loro economie. Quando lo avranno fatto — soprattutto Italia e Francia — si potrà parlare di fine della Grande Divergenza Transatlantica. E mettere a confronto Fed e Bce. Non prima.
Danilo Taino