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 2014  agosto 21 Giovedì calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - ANCORA SUL REPORTER DECAPITATO


REPUBBLICA.IT
NEW YORK - Arrivano nuovi particolari e retroscena sulla prigionia e la brutale esecuzione del giornalista americano James Foley. Philip Balbioni, amministratore delegato del Global Post per cui il reporter scriveva, ha rivelato che la settimana scorsa i terroristi hanno inviato una email alla famiglia Foley: un messaggio "pieno di rabbia", in cui si minacciava di uccidere James in risposta ai raid Usa in Iraq. Balbioni ha però sottolineato come i jihadisti, che hanno ignorato il dolore dei familiari nel messaggio, non hanno chiesto riscatti né avanzato altre richieste.
Il riscatto monstre. Tuttavia, secondo il New York Times, lo Stato islamico avrebbe chiesto un riscatto ultramilionario per la liberazione di Foley, ma il governo degli Stati Uniti si è rifiutato di pagare. Il Wall Street Journal scrive che la somma richiesta dai terroristi dello Stato Islamico per liberare Foley sarebbe stata di addirittura cento milioni di euro. Balboni ha inoltre sottolineato come l’azienda editoriale del Global Post abbia speso milioni per portare a casa Foley, ricorrendo persino a una società privata specializzata in sicurezza internazionale. Ma tutto è stato inutile.
"Foley? Un generoso, fino alla fine". In un’intervista alla Bbc il giornalista francese Nicolas Henin, prigioniero in Siria con Foley ma poi liberato lo scorso aprile, ha rivelato che Foley durante il sequestro in Siria avrebbe subito un trattamento più duro da parte dei suoi carcerieri perché era di nazionalità statunitense. "Abbiamo passato diversi mesi insieme in una situazione estrema, compresa una settimana in cui siamo stati ammanettati l’uno all’altro, notte e giorno", ha raccontato Henin, "in quelle circostanze si sviluppa un istinto di sopravvivenza per cui si arraffa tutto quello che si può. Ma lui condivideva tutto con gli altri: coperte, cibo. Tutto. Essendo americano veniva probabilmente preso di mira di più dai carcerieri. Come una sorta di capro espiatorio".
I boia "Beatles". La scorsa notte si è inoltre saputo che in un blitz autorizzato dal presidente Obama, le forze speciali Usa hanno tentato all’inizio di luglio di liberare Foley e altri ostaggi americani detenuti in Siria dai jihadisti dello Stato Islamico (Is), ma l’operazione non è andata a buon fine perché gli ostaggi non erano nel luogo in cui il commando ha fatto irruzione. Il boia di Foley "fa parte di un gruppo di tre britannici che controllano ostaggi stranieri in Siria". A scriverlo è il Guardian, che è riuscito a intervistare un ex prigioniero, il quale ha identificato "John" come il capo dell’organizzazione che opererebbe a Raqqa e sarebbe composto da "persone intelligenti, ben istruite e devote agli insegnamenti radicali islamici". La fonte al Guardian ha anche rivelato come il gruppo dei terroristi britannici venga chiamato "il gruppo dei Beatles" dagli ostaggi, proprio per la nazionalità dei jihadisti.
Siria, jihadisti dello Stato islamico decapitano reporter Usa
Allerta a Londra. E’ proprio il fronte inglese quello che desta più preoccupazione al momento. Il premier britannico David Cameron, dopo alcune riunioni di emergenza con i vertici della sicurezza, è tornato in vacanza in Cornovaglia ma l’allerta resta altissima. Ad allarmare maggiormente le autorità di Londra in queste ore sono circa 250 cittadini britannici che sono tornati di recente oltremanica dopo aver combattuto "la guerra santa" in Medio Oriente. Mentre sarebbero 400-500 i miliziani con passaporto della Corona attualmente nelle file del Jihad, molti dei quali arruolati dallo Stato Islamico.
E Obama gioca a golf. E se Cameron è tornato in vacanza, il presidente americano Barack Obama, dopo il suo durissimo attacco allo Stato Islamico ("è un cancro"), ha lasciato la sala stampa allestita a Martha’s Vineyard, dove si trova in vacanza con la famiglia, ed è andato a giocare a golf. Come raccontano il New York Post e altri tabloid statunitensi, il presidente ha fatto una dichiarazione "velocissima" e poi è andato sul green, sorridente, come mostrano diverse foto diffuse in rete, provocando qualche polemica.
L’Interpol: "Strategia globale". Oggi, oltre all’Unione Europea, anche l’Interpol ha condannato la barbara uccisione di Foley, ricordando la necessità di "una risposta del mondo intero contro la minaccia del terrorismo in Medio Oriente". A sottolinearlo è Ronald Noble, segretario generale dell’organizzazione di polizia internazionale, che ha sede a Lione, in Francia. Il capo dell’Interpol ha anche condannato "il massacro pubblico di un uomo innocente", in seguito alla diffusione del video dell’esecuzione che ha "terrorizzato i cittadini di tutto il mondo" (FOTO). Come ha tra l’altro dichiarato anche Hollande ieri, Noble è necessaria "una risposta miltilaterale contro la minaccia terrorista rappresentata dai combattenti transazionali radicalizzati che viaggiano attraverso tutto il Medio Oriente", che hanno aderito allo Stato Islamico.
SCHEDA / Che cos’è lo Stato Islamico
Lotta a tutto campo contro i jihadisti. Del resto, il problema dei jihadisti europei che vanno a combattere in Medio Oriente e che non negano di voler colpire un giorno il Vecchio Continente, è risaputo da tempo. "Nessun Paese è immune da rischi, Isis ha fatto proseliti anche in Occidente - ha detto il ministro degli Esteri Federica Mogherini in un’intervista a Repubblica - E’ evidente che si tratta di un problema di cui l’intera Europa ha non solo il dovere, ma anche l’interesse a occuparsi". L’Italia, come la Germania, invierà ai peshmerga curdi armi leggere e munizioni. Ieri, nel corso della sua visita lampo a Bagdad, il premier Matteo Renzi ha assicurato: "Combatteremo insieme i terroristi".
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Base militare Usa in Kurdistan? Fonti curde oggi riferiscono che gli Stati Uniti potrebbero aprire una base militare a Erbil, nella regione autonoma del Kurdistan iracheno. La base dovrebbe servire a monitorare la situazione militare e di sicurezza in Iraq. "Gli Stati Uniti hanno scelto Erbil perché rappresenta una zona ideale per la sicurezza della base e del suo personale. Gli Usa hanno già raggiunto un accordo e la base sarà dotata dei più recenti dispositivi elettronici di controllo oltre a un team di esperti", ha aggiunto la fonte.
SCHEDA / Dalla Siria all’Iraq, il dramma dei giornalisti scomparsi
Il Guardian: "Due italiane in ostaggio". Le immagini del reporter americano fanno tremare anche le famiglie di Greta Ramelli e Vanessa Marzullo, le due giovani volontarie rapite in Siria lo scorso 31 luglio. Secondo l’edizione americana del sito online Guardian nelle mani dell’Is ci sarebbero anche "due donne italiane, anche se non vengono citate fonti e non vengono fatti i nomi. La madre della 21enne Greta spiega: "Siamo doppiamente preoccupati adesso, non può che essere così".
L’appello di Francesco. Papa Francesco, in una lettera al presidente iracheno Fuad Masum, ha rinnovato il suo appello "a tutti gli uomini e le donne che hanno responsabilità politiche perché usino tutti i mezzi per risolvere la crisi umanitaria. Mi rivolgo a lei con il cuore pieno di dolore mentre seguo la brutale sofferenza dei cristiani e di altre minoranze religiose costretti a lasciare le loro case, mentre i loro luoghi di culto sono distrutti".

LA MADRE DI GRETA RAMELLI
MILANO - Sulla carta l’Iraq non è la Siria, e invece adesso tutto si confonde, i confini spariscono. Le immagini del reporter americano James Foley — rapito oltre un anno e mezzo fa in Siria e decapitato dai miliziani islamici diretti verso Bagdad — fanno tremare anche le famiglie di Greta Ramelli e Vanessa Marzullo, le due giovani volontarie rapite in Siria lo scorso 31 luglio. «Siamo doppiamente preoccupati adesso, non può che essere così», spiega Antonella, la madre della 21enne Greta, voce bassa ma gentile, quasi affettuosa. Angoscia da una parte, ma soprattutto speranza. «Sono sicura che nei prossimi giorni avremo delle buone notizie, ma non possiamo dire nulla di più», aggiunge. La Farnesina ha consigliato il silenzio stampa ai genitori, sulle indagini in corso in primis. Ma le polemiche dei giorni scorsi con alcuni giudizi ingenerosi sulle due ragazze impegnate in una missione umanitaria (per la serie, “non potevate restare a casa vostra?”) hanno ferito ulteriormente le famiglie: «So solo che Greta sin da adolescente ha avuto una sensibilità speciale per chi aveva bisogno di aiuto», ricordava la mamma alla Prealpina. «Allora se tua figlia chiede di poter andare ad aiutare quei bambini laggiù, puoi forse rinnegare gli insegnamenti che le hai cercato di trasmettere? Puoi per caso cambiare tua figlia che ha questi valori e ideali fortissimi di solidarietà ed empatia?». Mentre sempre al giornale varesino il papà, Alessandro, ha inviato una lettera di ringraziamento a chi è stato vicino ai Ramelli in questi giorni, rompendo un silenzio fino a quel momento infrangibile: «Grazie a chi sta pregando affinché il nostro angelo col sorriso ritorni presto con Vanessa, non riusciamo più a vivere senza di lei».

In tutto sono sei gli italiani che, in diverse parti del mondo, sono ancora nelle mani di terroristi. Tre sono in Siria; oltre alle due ragazze lombarde c’è il gesuita padre Paolo Dall’Oglio — che lì aveva vissuto 30 anni e conosceva perfettamente lingua e usanze — di cui non si hanno più notizie da oltre un anno. Altri due sono stati rapiti in Libia: Marco Vallisa, il tecnico sequestrato a inizio luglio insieme a due colleghi stranieri che però sono già stati liberati; e Gianluca Salviato, il costruttore — malato di diabete — portato via a marzo. Da due anni, poi, non si hanno più notizie di Giovanni Lo Porto, cooperante palermitano di 38 anni, rapito nella regione pachistana del Punjab.
Il centro studi “Committee to Protect Journalist” (Cpj) invece ha focalizzato l’attenzione sui giornalisti rapiti o dispersi in Siria: il risultato è che ad oggi non c’è una cifra precisa dei reporter locali e internazionali scomparsi. Da quando nella regione è scoppiata la guerra civile oltre tre anni fa, sono stati uccisi almeno 69 giornalisti. E almeno altri 80 sono stati rapiti. Di questi, stima sempre il Cpj, ancora venti sono tuttora dispersi, nelle mani dei rapitori, o comunque di loro non si hanno più notizie. Molti sarebbero nelle mani dei miliziani dello Stato Islamico o di altri gruppi estremisti legati all’Is. Diversi giornalisti sono riusciti a fuggire dai loro sequestratori, come avvenuto di recente a Domenico Quirico della Stampa o a Anthony Lloyd e Jack Hill del Times. Destino diverso invece per molti altri, come la giornalista americana Marie Colvin (anche lei del Times) e del fotografo Remi Ochlik.