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 2014  agosto 21 Giovedì calendario

COSÌ IL CALIFFATO SI È PRESO UN TERZO DELLA SIRIA


La bandiera nera dello Stato Islamico (Is o Isil) sventola a venti chilometri dal centro di Damasco, alla periferia di Douma. Qui i jihadisti del Califfato hanno soppiantato il gruppo rivale di Jabat Al Nousra, affiliato di Al Qaeda, e oggi controllano un terzo della Siria, pozzi di petrolio compresi, dighe e centrali elettriche. In Siria il Califfato amministra alcuni milioni di persone e oltre a decapitare e crocifiggere quelli che gli si oppongono pretende di dare una sua versione di governo islamico abilmente propagandata sul web per fare proseliti e raccogliere fondi. Oggi lo Stato Islamico si autofinanzia e si è quindi reso indipendente, ovvero non manovrabile da potenze e ricche fondazioni arabe e musulmane.
È stata proprio la rottura dell’aprile dell’anno scorso tra Al Qaeda diretta da Ayman Zawahiri e l’Isil - allora Stato islamico dell’Iraq e del Levante poi semplicemente Stato islamico dopo la proclamazione del Califfato - a segnare l’ascesa dell’organizzazione guidata da Abu Bakr al Baghdadi, il cui vero nome è Ibrahim Awad al Badri, nato a Samarra nel 1971, che si vanta di essere un imam con dotti studi coranici sufi e un’origine che affonda alla tribù di Maometto. Ma nel suo oscuro percorso di davvero notevole c’è che gli americani lo arrestarono nel 2004 per rilasciarlo nel 2009 in maniera inspiegabile: l’anno dopo era il capo di Al Qaeda in Iraq.
Il Califfato è oggi il movimento guerrigliero e terrorista più potente e probabilmente più ricco della Mesopotamia, la terra tra i due fiumi, il Tigri e l’Eufrate: una collocazione geografica ma anche strategica perché uno degli obiettivi più evidenti del Califfato è quello di unire i sunniti della Siria anti-Assad a quelli dell’Iraq, ostili al governo sciita di Baghdad. Abu Bakr Baghdadi ha sfruttato il caos e il vuoto di potere da una parte e dall’altra della frontiera, saldando la guerra siriana a quella irachena.
Per capire chi sono i miliziani dell’Isil bisogna fare un passo indietro, dopo l’occupazione americana dell’Iraq nel 2003. Abu Musab al Zarqawi, che si proclamò Emiro di Al Qaeda in Iraq, è il vero ispiratore del Califfo Ibrahim, Abu Bakr al Baghadi. Giordano di origini palestinesi, era un reduce dell’Afghanistan che rivaleggiava con Osama bin Laden. Il suo obiettivo era scatenare una guerra civile settaria su larga scala e creare un califfato sunnita. Venne ucciso dagli americani nel 2006 e Baghdadi ha ereditato la sua idea quando nel 2013 ha trasformato Al Qaeda in Iraq in Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (Isil).
Il numero di combattenti del gruppo ultra-estremista dello Stato Islamico, secondo alcune stime, avrebbe superato in Siria i 50mila, 6mila dei quali reclutati a luglio, durante l’avanzata spettacolare e sanguinosa in Iraq che ha portato alla caduta di Mosul. Quella dell’Isil è un’armata multinazionale: i non siriani sono oltre 20mila e tra le reclute ci sono ceceni, turchi, europei, arabi del Maghreb, asiatici e musulmani della Cina, quasi tutti arrivati attraversando il confine dalla Turchia. Questo spiega perché l’ipotesi che il reporter James Foley sia stato giustiziato da un jihadista britannico non è per niente da escludere, anzi fa parte delle atroci strategie di comunicazione dell’Isil dirette al proselitismo fuori dal Medio Oriente. Un giornalista palestinese, Maydan Dairieh, per tre settimane ha girato in Siria un documentario vivendo insieme ai jihadisti dello Stato Islamico. Forse la sequenza del film che colpisce di più è quando uno di loro, che si fa chiamare il Belga, chiede al figlio di dieci anni cosa preferisce tra la Jihad e un attentato suicida. «La Guerra Santa contro gli americani e gli infedeli», risponde il bambino. Il Califfato è questo: punta sulle future generazioni, l’investimento forse meno visibile sui campi di battaglia ma il più preoccupante.