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 2014  agosto 21 Giovedì calendario

UN’ANIMA CARNALE RISUCCHIATA DAL MOLOCH DELLA GRANDE GUERRA


Una pallottola in piena fronte, il pomeriggio del 5 settembre 1914, nei pressi di Villeroy. Agli esordi della battaglia della Marna. Si concludeva così, a soli 41 anni, la vita Charles Péguy, il grande poeta, l’autore degli intensissimi drammi su Giovanna d’Arco, l’indomito direttore dei Cahiers de la Quinzaine. Tenente della riserva, subentrato al comando della sua compagnia dopo la morte del capitano, morì incitando i suoi all’assalto (in Francia è uscito l’anno scorso Tué à l’ennemi, il libro di Michel Laval che racconta gli ultimi giorni di Péguy al fronte).
Péguy fu tra i primi a essere risucchiato nel disastro della Grande Guerra. Presto, la lista degli artisti recisi si sarebbe spettralmente allungata. Pochi giorni dopo, sarebbe toccato ad AlainFournier, l’amico che l’aveva accompagnato in un tratto del celebre pellegrinaggio a Chartres del 1912. Péguy è stato tra le voci più profetiche del Novecento. Un magistero fiammante, limpido, sempre controcorrente e, forse, ancora oggi inascoltato.
Il doppio centenario di quest’anno (l’inizio della Prima guerra mondiale e la morte al fronte) può essere l’occasione di nuovi bilanci. Se per la Francia, infatti, Péguy è un maestro pubblicato nella «Pleiade» di Gallimard, in Italia è ancora in gran parte da scoprire, soprattutto per la sua attività di prosatore.
Intanto, la sua figura sarà al centro di uno dei primi incontri del Meeting di Rimini (domenica 24 agosto alle 17), suggestivamente intitolato Storia di un’anima carnale. Di lui discuteranno il filosofo Costantino Esposito, il poeta Davide Rondoni e Pigi Colognesi, autore dell’unica biografia in italiano dedicata allo scrittore francese (La fede che preferisco è la speranza. Vita di Charles Péguy, Rizzoli) e curatore della mostra dallo stesso titolo dedicata a Péguy dal Meeting.
Colognesi ci ha spiegato come questo autore possa parlare all’uomo di oggi: «L’attualità di Péguy è quella propria del genio, o del "classico" se si vuole, cioè di colui che introduce una novità nel coro dell’umanità che riflette su se stessa; una novità nella quale si può scavare indefinitamente, trovandovi sempre qualcosa da apprendere».
Péguy non è quindi solo un autore per addetti ai lavori, ma di portata ben più ampia, che potrebbe anche toccare il cuore dei giovani: «Credo che il suo insegnamento sia la lealtà, lealtà verso il proprio “appetito metafisico” e lealtà nei confronti del dato reale così come esso si pone, senza direbbe “fare i furbi”, cioè aggirarlo in favore delle proprie (o altrui) “idee bell’e fatte” o in favore del proprio istinto romantico che si costruisce un proprio “piccolo mondo facilmente circumnavigabile”».
Colognesi, dopo averci ricordato l’esiguità delle traduzioni italiane, consiglia di avvicinare Péguy (che si gusta al massimo «se letto con calma e ad alta voce») con l’antologia Lui è qui (a cura di Rondoni e Flora Crescini, Rizzoli 1997), per poi passare agli imprescindibili Misteri pubblicati con coraggio (data la mole) dalla Jaca Book.
La mostra del Meeting rievoca gli snodi della vita di Péguy. I pannelli dalla grafica un po’ retrò di inizio Novecento hanno gli stessi caratteri tipografici dei Cahiers, la rivista cui si dedicò anima e corpo per un quindicennio. E in effetti la prospettiva biografica resta una delle più affascinanti per immergersi nel cantiere di uno scrittore, al contrario di quanto spesso si insegna nelle nostre facoltà ancora troppo influenzate dal demone della filologia.
La vita di Péguy fu densa, tormentata, appassionante a tal punto che meriterebbe un film. Nato a Orléans nel 1873, conobbe presto la povertà: il padre, che morirà quello stesso anno, era falegname, la madre impagliatrice di sedie. Nel 1895 aderì al partito socialista e fu un acceso difensore di Dreyfus, firmando petizioni per la revisione del processo che squassò la Francia. Nel 1908 ritornò, dopo una travagliata ricerca, alla fede cattolica. La scelta darà origine a una spaccatura famigliare: la moglie Charlotte non accetterà la conversione, impedendo il battesimo dei tre figli. Sarà l’origine di un dramma ancora più intimo per Péguy: la scelta di restare fedele al matrimonio nonostante il sopraggiunto gelo della consorte e la concomitante passione per la giovane Blanche Raphaël, cui volle restare legato soltanto da una limpida amicizia. Passò, però, per un crudele martirio del cuore.
Lo testimoniano, tra l’altro, le quartine dell’opera postuma La ballata del cuore che ha tanto battuto: «Cuore che hai tanto sognato, / o cuore carnale, / o cuore non terminato, / cuore eterno / [...] Cuore puro come un bambino / o cuor neonato / il tuo candore ti difende / o fratello più grande».
Pochi poeti si sono affidati alla speranza con l’intensità di Péguy. Chissà che la sua lettura non possa essere un balsamo per i nostri giorni impregnati di cinismo. Nei primi passi de Il portico del mistero della seconda virtù scriveva: «Ma la speranza, dice Dio, ecco quello che mi stupisce. [...] Che quei poveri figli vedano come vanno le cose e che credano che andrà meglio domattina. / Che vedano come vanno le cose oggi e che credano che andrà meglio domattina. / Questo è stupefacente ed è proprio la più grande meraviglia della nostra grazia. [...] Questa piccola speranza che ha l’aria di non essere nulla. / Questa bambina speranza. / Immortale. [...] Eppure è questa bambina che traverserà i mondi / Questa bambina da nulla...». Péguy era un uomo che anche nella crisi sapeva scommettere sul futuro, un uomo che, come direbbe Emily Dickinson, sapeva «abitare la possibilità».