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 2014  agosto 21 Giovedì calendario

GIUSTIZIA, TROVATO L’ACCORDO
SULLA RESPONSABILITÀ DELLE TOGHE


La riforma della giustizia procede come una lama nel burro. Se si guarda indietro, a 20 anni di lotte sanguinose che sempre vedevano protagonista lui (Berlusconi), ha quasi dell’incredibile la facilità con cui ieri il governo si è messo d’accordo con la sua maggioranza. È vero, ancora si deve discutere di prescrizione e di intercettazioni (prossima settimana), per cui qualche cautela resta necessaria; e un po’ di tensioni le causerà pure la «razionalizzazione» della geografia giudiziaria, che significa taglio di certe Corti d’appello e Tribunali. Però intanto c’è intesa di massima sulla responsabilità civile dei magistrati. Raggiunta dopo un civilissimo confronto, quasi da Paese normale, orchestrato dal ministro Orlando con i rappresentanti di Pd e Nuovo centrodestra. Le dichiarazioni al termine (una per tutte, quella del democratico Lumia: «C’è più convergenza di quanto non ci saremmo aspettati...) sgonfiano certe previsioni apocalittiche della vigilia.
Si è convenuto che nei casi di «malagiustizia» i magistrati saranno chiamati a rispondere dei danni causati al cittadino. E non potranno più nascondersi dietro l’usbergo della normativa attuale, che prevede un filtro quasi insuperabile di ammissibilità, e poi che il magistrato di sia macchiato di negligenza «inescusabile» (quando invece è scusabile non se ne fa nulla). Ciò significa che d’ora in avanti le toghe potranno essere trascinate sul banco degli imputati? Niente affatto, perché sarebbe un colpo mortale per l’indipendenza della magistratura, che deve poter operare nell’interesse di tutti. Dunque nel summit di ieri è stato concordato un meccanismo teso a infrangere il tabù salvando, come usa dire, capra e cavoli. Chi si sentirà leso da una sentenza viziata da dolo o colpa grave potrà far causa allo Stato per ottenere il risarcimento. E lo Stato, in caso di condanna, potrà tentare di rivalersi sul magistrato responsabile attraverso un successivo giudizio, senza automatismi. Si discute il «quantum» della rivalsa: oggi non può superare il 30 per cento di un’annualità dello stipendio. Per i medici, ad esempio, questo tetto non sussiste (difatti tendono a cautelarsi con delle polizze professionali). L’ipotesi è che venga alzato o cancellato del tutto.
Sebbene sia un compromesso, parte della magistratura lo vivrà comunque alla stregua di un tradimento. Molto dipende da come la riforma verrà messa nero su bianco in vista del 29 agosto, giorno in cui ne discuterà il Consiglio dei ministri insieme con l’altra carne al fuoco: dallo smaltimento dell’arretrato civile al potenziamento del personale amministrativo, all’introduzione di nuovi reati come l’autoriciclaggio. Fatto sta che Orlando, con sapienza tattica, ha deciso di non esacerbare gli animi. Dunque l’altro corno del patto di maggioranza prevede un rinvio della nuova normativa sul Csm, organo di autogoverno dei giudici. «Per garbo istituzionale si è ritenuto di attendere l’insediamento del nuovo Consiglio», spiega il vice-ministro della Giustizia Enrico Costa, protagonista del trattativa per conto dell’Ncd. Il Parlamento deve ancora nominare 8 membri, la seduta è fissata per l’11 settembre. Per cui lo stesso Napolitano nei giorni scorsi aveva suggerito di dare tempo al nuovo Csm di formulare osservazioni e proposte sulla riforma di se stesso, in modo da smussare certi spigoli con i magistrati. Una saggia cautela, insomma.
Ma c’è dell’altro. Come spiega ancora Costa, «si è deciso di procedere a Costituzione invariata». Rivoluzionare il Csm obbligherebbe a cambiare la Carta attraverso intese parlamentari molto larghe, comprensive dell’opposizione, laddove Orlando ha voluto rassicurare gli alfaniani: i confini della maggioranza governativa saranno salvaguardati. Declassando dunque gli apporti che potranno venire da Forza Italia, con cui il Guardasigilli si confronterà nella giornata odierna. Eventuali convergenze saranno utili però non decisive. Anche per questo i grillini hanno fatto sapere: con Orlando nessun incontro.