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 2014  agosto 21 Giovedì calendario

E FERGUSON UNÌ 
IL GURU DI TWITTER
E LE PANTERE NERE

Capisci che la dinamica sta cambiando, a Ferguson, quando le Pantere Nere si alleano con la Nation of Islam e i leader religiosi locali. Obiettivo: isolare i violenti e riportare la protesta per l’uccisione di Michael Brown nei binari pacifici della migliore tradizione storica del movimento per i diritti civili. 
Succede verso le sei del pomeriggio di martedì, quando l’ex presidente del New Black Panther Party, Malik Zulu Shabazz, va ad accogliere una ventina di rappresentanti dell’organizzazione guidata da Louis Farrakhan, di cui aveva fatto parte anche Malcolm X. Si abbracciano, si stringono le mani, e vanno insieme a calmare e guidare la folla. In qualunque altro contesto la polizia li avrebbe pedinati, se non arrestati: le vecchie Pantere Nere erano accusate di essere un gruppo terroristico, mentre la Nation of Islam, sempre in bilico sull’orlo dell’illegalità, è sospettata persino di aver fatto uccidere il proprio fratello Malcolm X. Eppure a Ferguson sono diventate le forze della moderazione, scavalcate ogni notte dalla violenza dei gruppi anarchici e criminali, venuti da Chicago, New York e California solo per approfittare della situazione e combinare guai. La polizia infatti li lascia fare, e anche i leader religiosi locali di varie denominazioni accettano di lavorare insieme a loro, indossando magliette nere con su scritto «Peacekeepers». Lo scopo è pattugliare insieme le strade tutta la notte, per convincere la gente a marciare in maniera pacifica, isolando invece i violenti venuti da fuori. «Dobbiamo convincere questi ragazzi - ci dice Shabazz - a non suicidarsi. A cosa serve protestare per una causa giusta, se poi domani hai un colpo in testa e sei morto? Abbiamo già avuto abbastanza lutti: ora è venuto il momento di aiutare la giustizia a compiere il proprio corso, per risolvere l’omicidio di Michael Brown e ridare speranza all’intera comunità nera discriminata».
Parole del genere sono rare sulla bocca di Shabazz, quasi come la gentilezza su quella di un terrorista dell’Isis: il capo delle nuove Pantere Nere ha costruito la sua carriera politica sull’estremismo, però adesso si sente scavalcato da questi giovani violenti senza direzione, e vuole riciclarsi in un leader responsabile. 
Quella di martedì voleva essere finalmente la notte dei responsabili, come dimostra il fatto di incontrare tra i manifestanti anche un miliardario come il cofondatore di Twitter, Jack Dorsey. Indossa una maglietta bianca, jeans, e un cappelletto da baseball che copre la sua faccia, già nascosta dalla barba. La velocità con cui twitta foto e video della protesta, però, lo rende inconfondibile: «Sono appena tornato dall’Italia, dove ero in vacanza nel Paese originario della famiglia di mia madre, vicino Venezia. Io sono nato e cresciuto a St. Louis, e ho sentito il bisogno di essere qui». Si è portato dietro anche il padre, tanto per dimostrare come le manifestazioni possano essere anche un affare per famiglie. «Il problema - dice - non è solo la violenza che la polizia ha usato contro Michael Brown, ma in generale la dura discriminazione contro i neri. Qui esiste da quando ero ragazzo, però abbiamo preferito dimenticarla per decenni. Ora è esplosa, a causa di questo episodio, ma dopo che verrà fatta giustizia bisognerà affrontare le cause profonde della rabbia, che stanno nella completa mancanza di opportunità e futuro». Proprio per questo, però, Jack è contento di vedere leader che predicano la pace ai manifestanti: «Sappiamo che sono venuti gruppi violenti da fuori, solo per provocare il caos. Chiunque abbia vissuto a Ferguson li riconosce. È un peccato, perché questa gente attira tutta l’attenzione con i propri attacchi, e fa dimenticare le cause per cui invece i residenti civili della città stanno giustamente dimostrando».
La ragione per cambiare la dinamica della protesta stava anche nel fatto che ieri il ministro della Giustizia, Eric Holder, è venuto a Ferguson. Lo ha mandato il presidente Obama per incontrare i genitori di Michael Brown, pronunciare le parole che lui non può dire sulle divisioni razziali per evitare di esacerbarle, e assicurare che il procedimento legale sulla sparatoria compia il suo corso. Da una parte c’è l’inchiesta penale, che ieri è arrivata davanti al Grand Jury dove si deciderà se incriminare Darren Wilson, il poliziotto che ha sparato a Brown: i suoi colleghi sostengono che era stato aggredito e che quindi aveva reagito per legittima difesa. Ci sono polemiche perché il procuratore locale McCulloch, figlio di un poliziotto morto in servizio, non viene considerato imparziale dalla comunità nera. Washington vuole essere sicura che il procedimento venga gestito con la massima correttezza, affinché serva per disinnescare la miccia, invece di riaccenderla. Nello stesso tempo proprio Holder ha ordinato di fare una terza autopsia indipendente sul cadavere di Mike, e potrebbe aprire un procedimento federale per la violazione dei suoi diritti civili. Tutti passi avanti verso una soluzione civile del caso, che anche in strada richiedono la pacificazione della protesta.
Pantere Nere, leader religiosi e Nation Of Islam infatti riescono a contenere la rabbia, fin verso alla mezzanotte di martedì. Invitano i manifestanti a marciare senza fermarsi, come ha chiesto la polizia, che si schiera lungo il percorso ma senza gli atteggiamenti più provocatori dei giorni scorsi. Funziona, e per la prima volta in diverse notti non spara lacrimogeni o proiettili di gomma. Shabazz ringrazia i militanti e dà loro appuntamento per la mattina dopo, ma in quel momento succede qualcosa. Arrivano i violenti, che lanciano bombe di acqua e urina contro i poliziotti. Gli agenti reagiscono, li inseguono con gli spray urticanti e ne arrestano una cinquantina. La strada della calma e della responsabilità, spianata proprio dagli estremisti di ieri, è ancora in salita.