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 2014  agosto 21 Giovedì calendario

«IO, SCHIAVO D’AMORE NON TRADIRÒ MAI BACH»

Se da qualche parte dell’universo esiste un pianeta della fedeltà, il celebre pianista iraniano Ramin Bahrami ne è il monarca assoluto. Più che fedele è ossessivo, maniacalmente riflesso nella propria vocazione. «Sì, lo confesso: sono immerso in Bach. Quando non lo eseguo al pianoforte, lo suono dentro la mia mente. Oltre alle mie mani, possiede il mio cervello. Io e lei stiamo parlando, ma parallelamente sono invaso dalle Variazioni Goldberg: mi suonano in testa».
Alla prima domanda — «maestro, lei è un fedele o un fanatico? » — risponde così: «Diciamo che sono fedele fino al fanatismo. Come prescindere da Bach?
Mi ha salvato. È penetrato in me e non mi ha mai più abbandonato. Tante delusioni nella vita mi hanno colpito, ma non Bach. Lui mi è fedele quanto io lo sono a lui. Chi è stato preso da Bach sa cosa intendo».
Bach cattura le persone?
«Le chiama a sé. Non pensi che io abbia qualche rotella fuori posto. Se vuole le racconto la chiamata».
Prego.
«Accadde in un pomeriggio autunnale, durante la mia infanzia a Teheran. Avevo sei anni. Stavo a casa di un’amica di famiglia, Farideh Rahnema, che aveva studiato al Conservatorio di Parigi. Mi fece ascoltare un 33 giri con Glenn Gould che suonava la Toccata della Sesta partita in mi minore .
Era il periodo della guerra tra Iran e Iraq, e i bombardamenti mi sconvolgevano. Grazie a quel disco entrai improvvisamente in una dimensione nuova, fiabesca, nitida e consolatoria. Davanti a me si aprì un mondo dove una dolce malinconia s’accompagnava a un tripudio di vitalità e colori. Successe anche a Rosalyn Tureck, geniale sacerdotessa di Bach e ispiratrice di Glenn Gould. Rosalyn, che avrei avuto la fortuna di avere come insegnante, mi riferì che da ragazza era caduta in trance ascoltando la Fuga n. 2-0 in la minore . Proprio portata via. Quanto a me, a partire da quel primo colpo di fulmine non ho voluto fare altro che studiare Bach e approfondirlo fino a spellarmi le dita, per riuscire a esprimere col pianoforte qualcosa dell’immensa lezione d’integrità, disciplina e bellezza creata dal Kantor».
In che senso Bach l’ha salvata?
«A Teheran, dove sono nato nel ‘76, crebbi in una famiglia colta e cosmopolita. Adoravo mio padre, dirigente d’industria in Iran e appassionato di musica. Suonava il violino e m’introdusse ai massimi compositori occidentali. Con l’ascesa al potere di Khomeini, il nuovo regime integralista accusò mio padre di tradimento per aver collaborato con lo Scià prima della rivoluzione. All’epoca bastava possedere un libro occidentale, o qualsiasi altra cosa che dimostrasse curiosità per l’Occidente, per venire arrestati. Non uscì più dal carcere, dove morì nel ‘90. Non amo piangermi addosso, ma so che è stato orribilmente ingiusto che mio padre mi sia stato sottratto quand’ero bambino, e che con i miei fratelli e mia madre siamo stati costretti a lasciare il Paese mentre i nostri beni venivano confiscati. Bach ha accolto la mia sofferenza e curato le mie ferite. In lui ho trovato il senso della mia identità. Violentato dalle circostanze, avevo bisogno d’essere incoraggiato alla pluralità e al rispetto: Bach lo ha fatto. Compresi che non dovevo fermarmi ad ascoltare le stonature del mondo, se esisteva un modo così elevato di fare musica».
Perché proprio Bach? Perché non Mozart o Beethoven?
«In Mozart e in Beethoven le emozioni sono ancorate all’immaginario terreno, mentre la musica bachiana ci innalza in sfere di tale intensità che potrebbe essere stata scritta per la Luna o per Marte. Anche gli extraterrestri ne sarebbero toccati. Trascende il tempo, la Storia e le nostre piccole storie. Ho inciso tredici cd bachiani, e l’ultimo, Bach for baby, è dedicato a mia figlia. Ha solo pochi mesi, e quando ascolta questi brani s’addormenta con serenità paradisiaca».
Bach non è umano?
«Ma no, lui è umanissimo. Però traduce l’umanità in messaggi sovrannaturali. Prenda le Variazioni Goldberg . Sono quanto di più celestiale sia stato concepito da un artista, scritte seguendo schemi matematici e simmetrie che danno loro coesione. In questo ciclo di trentadue brani c’è tutto quello che la vita possa dirci: il sublime incontra la ragione, il cuore abbraccia la razionalità. Prenda anche la Messa in si minore . Ha un che di funambolico, in bilico tra lievità e dolore, trascendenza e leggiadria. Le emozioni sono sublimate in una purezza ideale. È perfetta dal punto di vista armonico e del contrappunto: voci diverse dialogano tra loro in modo centrato. Pare un edificio che dai piani bassi si sviluppa in altezza, fino a raggiungere vertici di luce. Come se Bach avesse guardato indietro e ricapitolato ogni cosa creata fino a quel momento. La composizione condensa l’eredità dell’Occidente: il culto del bello, l’estasi della forma e l’apertura al dialogo. Col contrappunto, Bach risolve le dissonanze in consonanze e conferisce dignità e diritto di esistenza a ogni voce. Se tutte le voci sono importanti, ci verrà insegnato il rispetto per ogni cultura. Messaggio potentissimo».
Cos’è il tradimento in musica?
«Si tradisce se si dimentica il compositore per sovrapporgli le proprie emozioni personali. Non esiste l’interpretazione perfetta: l’opera non ha una verità oggettiva. La visione di un interprete, per quanto autorevole, non è mai l’unica possibile. Bisogna decodificare un testo ricco e misterioso per renderlo fruibile al massimo. Lo hanno fatto direttori quali Kleiber, Bernstein, Karajan e Abbado, fedeli agli autori senza esserne schiavi. Interpretando, si deve comunque tradire un po’ per dare prospettive nuove: nello svelare c’è un elemento di ricreazione non indifferente. Tanto è vero che non c’è un’esecuzione di un capolavoro uguale a un’altra. Ma l’opera ha anche una struttura propria che va mostrata, processo che non dev’essere mai solo a uso dell’interprete. Il quale, se sovrappone al pezzo la sua vanità e il suo esibizionismo, sta esercitando la peggiore forma di tradimento».
La fedeltà, applicata alla coppia, è un valore infrangibile nella sua cultura d’origine.
«Il tradimento coniugale esiste nella stessa percentuale in Oriente e in Occidente. Ma le donne orientali hanno imparato a camuffare meglio. Quando penso all’Oriente, immagino la Salome di Richard Strauss e la sua danza dei sette veli. La fedeltà delle orientali è un falso mito: tutto resta velato. L’infedeltà è solo più nascosta, scandita da modulazioni e sospensioni. Meno sbandierata e analizzata».