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 2014  agosto 21 Giovedì calendario

LA REALTÀ ROMANZESCA

[Maria Teresa Crivellari uccise la moglie dell’amante nel 2010] –

Le scavò perfino la fossa. Ma prima, iniziò a ucciderla da lontano. Poco dopo Natale. A poche ore da Capodanno. Davvero era convinta d’essersi ripresa il marito? Credeva bastasse un pranzo con i parenti, fra regali e panettone? Povera illusa: ormai era il suo uomo.
Provincia meridionale di Torino, monti sullo sfondo. Il 31 dicembre 2009, Maria Teresa Crivellari, infermiera, inviò un mazzo di fiori e una fotografia a Marina Patriti, casalinga, moglie di Giacomo Bellorio, ambulante dei mercati. I fiori erano veri. La fotografia un po’ artefatta: i due amanti, Crivellari e Bellorio, insieme, in atteggiamenti intimi. La Patriti pianse e urlò al marito: allora le promesse d’aver lasciato quella donna ossessiva erano una menzogna... Bellorio giurò che davvero non c’era più storia, che l’immagine era stata creata chissà con quale diavoleria. Poi si scoprì che la Crivellari aveva l’abitudine di addormentare l’amante sciogliendo sonniferi in caffé e bevande, così da posizionarlo su un letto, mettersi al suo fianco, comporre scene inequivocabili e scattare fotografie... Per la verità si scoprì altro. Un cadavere. Quello di Marina Patriti. Sotterrata nei dintorni di una casa. La casa di Maria Teresa Crivellari, assassina condannata all’ergastolo. Pazza di Bellorio, l’aveva conquistato venendone ricambiata. Per lei, lui aveva giurato che avrebbe abbandonato la moglie. Senonché, a un certo punto ci aveva ripensato. Forse i tre figli; forse la paura. Era tornato a casa mogio con l’aria da penitente. Marina l’aveva abbracciato. Innamorata della famiglia, avrebbe perdonato. Ventiquattro anni di matrimonio non si buttano all’aria così. Fu un Natale di affetto, di fusa. Fu un Capodanno di tormento, di cattivi presagi.
Il 19 febbraio 2010, Giacomo Bellorio, all’epoca 49 anni, andò dai carabinieri. Raccontò che dal giorno prima non aveva più notizie della moglie Marina Patriti, 44 anni. Bellorio aveva cominciato a pensare al peggio ignorando quale esso potesse essere: sua moglie era una persona che usciva poco di casa, nel paese di Bruino (9.500 abitanti). Raccontò che la mattina di quel giorno, al mercato, una sua collega, titolare di un banco confinante, gli aveva consegnato il portafoglio di Marina. Gliel’aveva a sua volta dato una donna, sbucata all’improvviso e scappata. Nel portafogli c’erano una lettera manoscritta firmata da Marina e le chiavi della sua macchina. La lettera aveva una grafia che non era della moglie, precisò Bellorio; comunque il testo era un addio, c’era scritto che aveva trovato un altro uomo e scappava. Quanto alle chiavi, la macchina guidata dalla Patriti, mora e sguardo timido, fu ritrovata in fondo al paese. Portiere chiuse. Le serrature non forzate.
Gli chiesero un nome e ne fece uno solo: «Maria Teresa Crivellari»; è la mia amante, disse Bellorio in caserma. Aggiunse d’aver subito sospettato e di averle chiesto conto della sparizione della moglie. Quella, 53 anni, vedova (il marito era morto per una malattia), bionda chioma fluente e labbra sottili, aveva risposto di non saperne niente. I carabinieri non si fidavano di nessuno. Li misero sotto intercettazione. Bellorio. Crivellari. Del primo scoprirono che, dopo il funerale, aveva ripreso a frequentare la seconda, della quale gli investigatori riuscirono a tracciare il traffico telefonico con balordi della zona: il 37enne Andrea Chiappetta (tossico nullatenente) e il 27enne Calogero Pasqualino (precedenti
per tentato furto e porto d’armi). C’era un quarto personaggio, Alessandro Marella, 21 anni: figlio della Crivellari, viveva con mammà, non studiava, non lavorava. La banda, sconclusionata e maldestra, cadde semplicemente aspettando. Mezze parole, frasi allusive nelle telefonate, le conversazioni che divenivano meno guardinghe, ché il tempo passava.
Chiappetta e Pasqualino avevano sequestrato la Patriti. Paventando la presenza di un’arma, l’avevano convinta a salire sulla sua macchina. Gliel’avevano fatta lasciare in un parcheggio per caricarla sulla propria vettura pronta lì vicino, con destinazione la villetta della Crivellari. Questa, con la presenza del figlio, aveva drogato e ucciso la moglie di Bellorio: Fenobarbital e Zolpidem sciolti in un bicchiere di aranciata. Barbiturici e sedativi. In più, un sacchetto di plastica intorno al capo. Nove mesi dopo, fu trovato il cadavere. Maria Teresa Crivellari confessò: «Fin dall’inizio avevo intenzione di ammazzarla». Fino all’arresto, nei loro frequenti incontri, a Bellorio (scagionato da ogni accusa) la mantide ripeteva: «Vedrai che non le è successo niente».