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 2014  agosto 21 Giovedì calendario

«IL CORPO È LABORATORIO» IL GURU CHE INSEGNÒ LO YOGA A TUTTO IL MONDO


Lo yoga è un’arte e una scienza insieme. E il corpo è il suo strumento. Che ti aiuta a rimanere per mezz’ora a testa in giù nella posizione sirsasana e a fare due o tre ore di pratica ogni mattina, fino a 95 anni suonati.
Nessun altro maestro yoga era riuscito a restare attivo fino a quell’età e a scoprire ogni volta delle novità nell’esercizio quotidiano, continuando ad allenare il corpo con il respiro e le asana, così si chiamano le posizioni dello yoga. «Il mio corpo è un laboratorio e non lo allungo come se fosse un oggetto, no. Parto da me per andare verso il corpo e ogni volta che scovo parti del mio corpo che non avevo trovato prima, mi dico che sto progredendo. E che questo è un lavoro scientifico», ha raccontato lo yogi BKS (Bellur Krishnamachar Sundararaja) Iyengar al giornale indiano Mint il giorno del suo 95esimo compleanno, a dicembre 2013.
Adesso che il grande guru è morto a Puna dove insegnava, l’India è in lutto spirituale e anche noi occidentali ogni volta che riusciremo ad allungarci un po’ di più (non è mai troppo tardi per iniziare a praticare) dovremo rivolgere un pensiero di ringraziamento a lui, che tanto si è speso per avvicinare e rendere accessibile quella pratica fisica e spirituale anche ai nostri corpi meno allenati e flessibili di quelli orientali, ricodificando l’hatha yoga, anche con l’aiuto di piccoli oggetti, mattoncini, corde, sgabelletti.
Molto prima che Christy Turlington dilagasse sulle copertine internazionali nella posizione del loto o Gisele Bundchen postasse le sue asana su Twitter e il power yoga diventasse un grande business internazionale, lui già insegnava agli occidentali la sua via alla serenità. «Nessuno ha fatto più di lui per esportare lo yoga in Occidente», scriveva il New York Times nel 2002, e il settimanale Time lo aveva inserito fra le 100 persone più influenti al mondo nella sua classifica del 2004. Il suo metodo, Iyengar Yoga, è diffuso in 70 Paesi, tradotti in 13 lingue i suoi libri, prima di tutto Light on Yoga (Teoria e pratica dello Yoga), diventato nel mondo la Bibbia dei nuovi adepti.
Per Iyengar l’incontro galeotto fu quello con il grande violinista Yehudi Menuhin che, afflitto da noiosissimi dolori al collo che nessun osteopata riusciva a vincere, lo volle assolutamente conoscere durante una tournée indiana nel 1952. Peccato che l’unico momento libero per il violinista fossero le 7 del mattino e che Iyengar dovesse farsi sette ore di viaggio: ne nacque grande stima e amicizia, Menuhin lo portò in Svizzera dove lo yogi conquistò subito allievi ed estimatori illustri, come lo scrittore inglese Aldous Huxley e la regina madre del Belgio Elisabeth, che incontrò più volte, illustrando i capisaldi della sua teoria: le asana tenute a lungo grazie all’aiuto del respiro e all’armonia delle sequenze, cioè del passaggio da una posizione all’altra. In modo da muovere la colonna vertebrale in tutte le direzioni, in un susseguirsi di posizioni e controposizioni. La regina, persona aperta e risoluta, volle imparare anche la posizione sulla testa, nonostante i suoi 85 anni: «Se mi dice di no, può andarsene», disse a Iyengar. Gliela insegnò e lei ricompensò lo yogi con un busto/ritratto, plasmato dalle sue mani.
E pensare che da piccolo il futuro maestro passava da una malattia all’altra e gli fu pronosticato che non sarebbe arrivato ai vent’anni. «Ho guadagnato un bonus di più di 60 anni», scherzò quando fu intervistato dal New York Times . Ora sappiamo che il suo bonus era in realtà di 75 anni. Tutto grazie allo yoga, scoperto sedicenne grazie al cognato Shri T. Krishnamacharya, che è stato anche il grande maestro di Guruji Sri K. Pattabhi Jois, coetaneo di Iyengar e guru dell’Ashtanga Vinyasa.
L’Occidente, che ha conosciuto lo yoga autentico, essenziale e non competitivo grazie a Iyengar, a un certo punto non si è accontentato più, si è fatto ingordo e ha cominciato, sostanzialmente per esigenze di marketing, a separare l’unicità dello yoga per venderlo meglio sotto varie etichette, inventandosi un nome nuovo all’anno.
Certo, oggi si contrappone all’hatha yoga l’ashtanga, più fisico e marziale, una via sicura — data la fatica — per riportare la persona a concentrarsi su di sé e il proprio corpo. «Ma lo yoga in fin dei conti è uno», dice Paola Buonomo, insegnante a Milano. «Ed è yoga ogni volta che è un modo per diventare consapevoli attraverso il corpo. È l’unione di mente e corpo».