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 2014  agosto 21 Giovedì calendario

MARIANGELA, UNA TOP GUN


Una bara di alluminio sul bordo del sentiero di Poggio Anzù, una coperta blu ben ripiegata sopra la cassa: piccola, la bara, per custodire appena ciò che resta tra gli sterpi bruciati.
Poi, nastri biancorossi di recinzione, occhi lucidi, la stanchezza che dopo diciotto ore filate e senza pausa rende nervosi e fragili. Il primo dei quattro «Diavoli Rossi Ghedi» lo trovano poco dopo le dieci, in questa mattina che finalmente dirada il fumo dell’incendio, svela l’orrore dei corpi carbonizzati, del primo Tornado a brandelli; una targhetta militare, due caschi, un telefonino, un salvagente, frammenti di vite esplose nel cielo sopra Ascoli e ricadute su queste colline per quasi cinquanta ettari. Forse qui, nei tre calanchi, nelle tre fosse che hanno ingoiato il primo aereo, giace il capitano navigatore Giuseppe Palminteri, che a Palermo da ragazzo si faceva chiamare «Chazz», in omaggio a un amatissimo attore italoamericano quasi suo omonimo, e che impazziva per il rock, si sognava batterista prima di innamorarsi dell’azzurro e dell’immenso. Il «forse» è obbligatorio in questo carnaio che confonde poveri resti oltraggiati dall’impatto, sicché i corpi ritrovati sembrano tre ma sono per ora solo due, ridotti male: serve il riconoscimento ufficiale per le certezze. In città arrivano i primi familiari, la catena del dolore sta appena cominciando a dipanarsi.
Siamo all’incrocio fra tre frazioni, a metà tra Castiglione e Bosco Castiglione. Un poliziotto anziano, di quassù, allarga le braccia: «Là sotto è tutto sparso, un inferno». Un collega di «Chazz» con la tuta da elicotterista, Maurizio, esperto ufficiale pilota, non si trattiene: «Noi stiamo cercando i nostri compagni, e li cercheremo fino all’ultimo respiro, pregando di trovare qualcuno vivo. È difficile? Sì, lo so, ma il cuore spera sempre». La vita di «Chazz» poteva girare diversamente, la band di Palermo dove suonava avrebbe poi fatto successo col nome di Waines e con il brano «Let me be», scelto da Virzì nel suo Capitale umano . Ma «Chazz» era uno che credeva nell’Italia, voleva essere utile: tutti e quattro questi ragazzi italiani finiti quassù con i loro due Tornado non hanno mai avuto paura di usare la parola «patria». «Lavoriamo perché la patria stia più sicura», diceva nelle interviste tv Mariangela Valentini, appena 31 anni, bionda e solare pilota del secondo Tornado, vero fiore all’occhiello dell’Aeronautica militare, col suo Premio Coraggio 2007, i suoi successi e le sue timidezze («gli uomini hanno un po’ paura di me»), la sua voglia di vivere prepotente come la sua risata, il fidanzato «che è segreto militare!». «Nata per volare», dice adesso Massimo Marcassa, il sindaco del suo paesino vicino Novara, Oleggio. Marcassa, che era pure suo commilitone, ora ha messo a lutto il paese. Anche molta parte del Paese con la «p» maiuscola è a lutto oggi, per i quattro Diavoli Rossi. E, come per testimoniarlo inconsapevolmente, la gente delle frazioni continua ad affacciarsi quassù, adesso con meno curiosità e più rispetto, dopo una nottata passata a combattere con gli incendi provocati dai detriti infuocati, affidandosi al coraggio e all’abnegazione dei pompieri e dei forestali, veri eroi di quest’altra fetta di battaglia, meno visibile eppure necessaria.
Tra questa gente, alla tre del pomeriggio, spunta Giulio Poli, che fa l’imprenditore e ha un casolare a due passi. «Sono salito con il soccorso alpino per guardare l’asse dell’aereo caduto, a ottocento metri dal primo corpo. E lì abbiamo visto...». Sotto lo scheletro d’acciaio, ecco il secondo cadavere, ciò che ne resta. «È stato un colpo tremendo, abbiamo chiamato subito, dato l’allarme. Stava proprio accanto all’asse dell’aereo». Ci sono dettagli assurdi in questa storia. Terribili equivoci che assumono molta importanza. Dice Poli: «Si vedevano ancora le unghie smaltate, i piedi piccoli. Era lei, Mariangela, la pilota». E per tre ore, in tutta Italia, il secondo ritrovamento diventa il suo, fino alla smentita ufficiale, dopo una lunga e travagliata riunione alla prefettura di Ascoli, dove partecipano i tanti, forse troppi, che hanno voce in capitolo nelle ricerche e che cercano anche un poco di spazio sotto le luci delle telecamere. In un corpo aggredito dal fuoco e straziato dall’esplosione, unghie e dimensioni dei piedi diventano ipotesi, sensazioni, schegge d’orrore possibile. Sicché, alle sei del pomeriggio, mentre si decide di non fermarsi, di continuare a cercare anche nella notte che incombe, la seconda notte, i due corpi ritrovati diventano ufficialmente maschili. A mezza voce, sempre senza crismi di ufficialità, il nome che viene fuori è adesso quello di Alessandro Dotto, il pilota del Tornado di Palminteri. Doveva essere lui, questo capitano guascone e appassionato, l’anima dei quattro Diavoli Rossi: aveva i colleghi di volo come amici del cuore su Facebook, un Tornado per foto del profilo («a volte il momento è proprio perfetto e non si può non immortalare»), si era arruolato dieci anni fa, poco più che ventenne, inseguendo una voglia matta che gli si era accesa guardando Top Gun : lo spazio da dominare, il respiro che ti si spezza in gola, il tempo che si ferma se impieghi appena sette minuti per piombare dalla base di Ghedi, nel bresciano, fin qui, sulle colline di Ascoli. Dicono che passando sul paesello natio in Piemonte facesse un piccolo inchino col caccia, ma non dobbiamo immaginare sciocchezze in stile Giglio, «questa era gente affidabile, colleghi al massimo livello della professione», giurano le fonti dell’Aeronautica. Papà e mamma, Lino e Ninetta, hanno mollato di corsa la caffetteria a San Giusto Canavese e sono piombati qua, protetti dai commilitoni del loro Alessandro, che ne negano perfino la presenza. Come fantasmi nella base degli avieri ascolani sono probabilmente arrivati anche Aniello e Giovanni, gli zii dell’ultimo dei quattro Diavoli Rossi, Paolo Franzese, capitano navigatore nel Tornado di Mariangela Valentini: campano di Benevento, trapiantato a Nola, un bambino nato da poco. Anche a Nola il sindaco dichiara il lutto cittadino. E c’è qualcosa che colpisce nei sentimenti che si levano in contemporanea da Nord a Sud, calando le bandiere a mezz’asta senza che nessuno lo dichiari, anticipando e troncando in qualche modo le polemiche che pure ci saranno, i come e i perché che revocheranno in dubbio le scelte dei quattro aviatori. Che restano, per la gente, quattro figlioli nostri pieni di fede, qualsiasi cosa salti fuori dalle scatole nere, qualsiasi verità processuale riscriva un giorno la tragedia dell’altro ieri. Con i Diavoli Rossi il destino ha giocato sporco e s’è divertito a mandar segnali, ci diciamo adesso. La mamma di Mariangela viveva «sospesa tra orgoglio e paura». «Chazz» Palminteri aveva postato un brano dei rockettari texani «Explosions in the sky» e ora gli amici su Facebook parlano di premonizione. Ma forse stiamo già arrancando nel giorno dopo, tra i focolai che il vento riaccende, e almeno un destino balordo ci rassicura: come se ci fosse un senso al nulla che ha inghiottito quassù quattro ragazzi italiani.