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 2014  agosto 12 Martedì calendario

PROFONDO ARGENTO

[Intervista a Dario Argento] –

«Che cosa consiglierei ai giovani? Di leggere Freud. In Freud c’è tutto. Senza di lui, senza i suoi libri, non ci saremmo noi. Vivremmo ancora come dei selvaggi medievali, e non sapremmo niente su di noi». A consigliarlo non è un filosofo, uno psicanalista, un semiologo. Ma Dario Argento, il re della paura, il sacerdote dell’horror. Uno dei pochissimi registi italiani ad essere considerato un maestro da generazioni intere di registi americani, Tarantino compreso.
Dario Argento ha colorato di parole il festival di Locarno. Ha presentato la versione restaurata del suo primo film, L’uccello dalle piume di cristallo, nell’ambito della grande retrospettiva dedicata alla casa di produzione Titanus. E poi si è confessato. Ha messo a nudo fantasmi, incubi, passioni. Ha annunciato un prossimo film da girare negli Stati Uniti. E poi, nel bel mezzo della conversazione, si è sdoppiato, è. diventato due. Vediamo che cosa è successo.
Argento, qual è il tema che la interessa di più, che la intriga di più oggi?
«La famiglia. Perché è nella famiglia che tutto il male cova ed esplode. Nella famiglia nascono i conflitti e accadono le cose più terribili. E le più grandi paure, le viviamo quando siamo piccoli, fragili, bambini».
Lei parla spesso del proprio “lato oscuro”, quello nel quale attinge le sue storie. Quale storia vorrebbe raccontare ora?
«Non lo so. Perché io questo lato oscuro non lo conosco. In effetti, io questo Dario Argento che fa il regista non è che lo conosca tanto bene! Qualche volta vorrei incontrarlo e parlargli. Chi è questo Dario Argento, e che cosa vuole?».
Se non lo sa lei...
«E il fatto è che io non lo so davvero. Diciamo che qualche volta riesco a collaborare con lui».
Adesso che cosa “state” scrivendo?
«Stiamo preparando un film da girare negli Stati Uniti e una serie televisiva, sempre da realizzare negli Stati Uniti,
In Abruzzo
di cui sono produttore e regista».
Perché negli Stati Uniti?
«Perché lì c’è più libertà, più possibilità di fare cinema, di raccontare. E poi, diciamolo, anche più soldi. Quei soldi che in Italia non ci sono più. In America le produzioni televisive investono in vari generi. Da noi sembra che esista solo la commedia».
Quando le venne il desiderio di fare il regista?
«Io in realtà volevo fare lo sceneggiatore, inventare storie nel chiuso di casa mia. Avevo scritto C’era una volta il West per Sergio Leone, ed ero felicissimo. La mia vita era da solo, davanti alla macchina da scrivere. Poi, mi è venuta la cattiva idea di scrivere un film che avrei potuto girare solo io. L’uccello dalle piume di cristallo. Poi è venuto tutto il resto».
Come ricorda il suo esordio?
«Non fu facile. Ebbi tutta la critica contro. Perché io, in quegli anni post ‘68, osavo non fare un film impegnato, un film sociale. Il mio film non piacque neanche ai produttori, perché non era un giallo, non era un horror, non sapevano cosa fosse. I primi giorni nessuno andò a vedere il mio film. Io pensavo di cambiare mestiere».
E poi?
«Poi successe un miracolo. Le file fuori dai cinema. E il produttore che aveva odiato il mio film disse: “ora ne facciamo subito un altro!”. Il cinema è così».
Tra poco uscirà nelle librerie la sua autobiografia. Che si chiamerà poteva altrimenti? Paura. Ci anticipa un ricordo d’infanzia?
«Mia madre, Elda Luxardo, era una fotografa molto conosciuta. Per anni ho fatto i compiti di scuola nei camerini dove le modelle si spogliavano e si truccavano, incuranti di me. Ricordo l’odore di belletto. E la sfacciataggine con cui si spogliavano, me presente, come se fossi stato inanimato. Non pensavano che potessi turbarmi!».
E invece...
«E invece, il “figlio della fotografa” cominciava ad avere i primi sconvolgimenti. E forse viene da lì anche la mia attenzione per i corpi femminili, che appare in tutto il mio cinema».
E l’interesse per la paura quando nacque?
«Quando lessi Edgar Allan Poe e Lovecraft. Li lessi per via di una febbre reumatica che mi tenne a letto per un mese. I miei fratelli erano a scuola. E io, solo a casa, trovai quei libri nella libreria di casa. E la mia vita cambiò».