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 2014  agosto 12 Martedì calendario

UNA «BOTTA» CHE VALE 17 MILIARDI


Cosa potrebbe succedere se in Italia dovesse cadere la diga dell’articolo 18? La domanda se la pongono in tanti e da parecchio tempo. L’esempio più vicino sia da un punto di vista geografico che cronologico è quello della Spagna che due anni or sono ha varato una riforma del lavoro molto aggressiva. Il Real Decreto ley numero 3 del 2012 si basava su due pilastri: licenziamenti molto più facili che in precedenza e meno costosi, associati a una ulteriore iniezione di flessibilità nella contrattazione collettiva. A distanza di due anni la cura del premier Mariano Rajoy (preannunciata nella campagna con cui vinse le elezioni) ha funzionato al punto che all’inizio del mese il Fondo monetario internazionale ha rivisto le stime sul Pil, alzando la crescita a fine anno dallo 0,9% previsto tre mesi fa all1,2%. Certo, la disoccupazione spagnola resta molto alta, attorno al 25%. Ma da quando si è insediato Rajoy i senza lavoro sono ca-
lati da 5,3 milioni a 4,4. Madrid è ufficialmente uscita dalla recessione nell’ottobre dello scorso anno, inanellando ben quattro trimestri consecutivi di crescita.
La ricetta per rilanciare il mercato del lavoro è molto semplice: la nuova legge prevede per il licenziamento senza giusta causa una indennità di 33 giorni per ogni anno lavorato (prima era di 45 giorni). Il tetto massimo per la buonuscita da non confondere con la liquidazione che non viene toccata è sceso da 42 a 24 mesi. Ma se un’impresa è in perdita e si avvia a chiudere il bilancio in rosso e questa è stata probabilmente la novità più rilevante introdotta dalla riforma qualunque licenziamento diventa «per giusta causa» e l’indennità corrisposta al lavoratore tagliato scende a 20 giorni per ogni anno lavorato fino a un massimo di 12 mesi. In pratica un anno di stipendio.
La riforma Rajoy è valsa finora almeno un punto di Pil. Se dovesse accadere la stessa cosa da noi significherebbe aggiungere un surplus di crescita di almeno 17 miliardi di euro l’anno, destinato ad aumentare per almeno tre anni consecutivi.
Il modello contrattuale che più si avvicina a quello spagnolo è stato proposto in Italia dal professor Pietro Ichino, giuslavorista e parlamentare di Scelta Civica. Si tratta del contratto a tutele crescenti: per i primi tre anni dall’assunzione l’articolo 18 verrebbe sterilizzato e quindi tutti i neoassunti sarebbero licenziabili. Dal quarto anno in poi, scatterebbe una indennità (sempre in aggiunta alla liquidazione) quantificabile a grandi linee in uno stipendio per ogni dodici mesi di anzianità maturtata. Dopo l’approvazione del decreto Poletti che ha liberalizzato di fatto i contratti a termine per una durata di tre anni, cancellando la causale, perfino i sindacati hanno chiesto di rivedere il contratto a tempo indeterminato. Il rischio è infatti che nessuno venga assunto se non a tempo determinato rendendo i rapporti stabili un ricordo sbiadito.