Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  agosto 12 Martedì calendario

AL ABADI, LO SCIITA CHE PIACE A WASHINGTON “DISTRUGGERÒ L’ISIS”

Già titolare a Londra di uno spaccio di ravioli punto di incontro dell’opposizione a Saddam Hussein, al fianco di Paul Bremer nella prima convulsa fase della ricostruzione, contrario alla permanenza di basi Usa in Iraq dopo il ritiro del 2011 ed esponente di spicco di una leadership sciita a cavallo fra Washington e Teheran, Haider Al Abadi è soprattutto il leader politico iracheno che negli ultimi 40 giorni più si è battuto per condurre una guerra senza tregua contro gli jihadisti di Isis. Quando a fine giugno i miliziani islamici di Abu Bakr al-Baghdadi proclamano il Califfato fra Siria e Iraq, Al Abadi è fra coloro che a Baghdad li prendono più sul serio.
Forte della carica di vicepresidente del Parlamento e dell’appartenenza al partito islamico Al-Dawa - lo stesso di Nuri al Maliki - chiede senza mezzi termini a Washington di «usare gli aerei per bombardarli» e visto che la Casa Bianca esita, aggiunge: «Se non lo farà l’America lo chiederemo a Iran e Turchia». Definisce Isis con il termine di «barbari sanguinari», spiegando che «uccidono tutti coloro che non la pensano come loro, sunniti, sciiti o curdi». Ciò che lo separa da Al Maliki è una visione diversa del rapporto con le minoranze curde e sunnite: non le avversa, piuttosto tenta di coinvolgerle in una sorta di grande alleanza contro i terroristi che governano sulla base dei «decreti» del «principe dell’Islam».
Le tensioni con Washington montano perché l’amministrazione Obama non solo evita i raid anti-Isis ma non consegna neanche all’esercito iracheno gli aerei per realizzarli. Quando la Russia si affretta a far arrivare i Mig è sempre lui a ringraziare Mosca, lamentandosi senza mezzi termini della «latitanza dell’Occidente» con i diplomatici britannici a Baghdad che considera quasi dei connazionali per via degli anni trascorsi in Gran Bretagna, dagli studi di ingegneria elettronica all’esilio sotto Saddam.
Tanta determinazione nel chiedere a Washington di tornare a combattere il terrorismo in Iraq, porta il vicepresidente Joe Biden a considerarlo fra i pochi interlocutori seri a Baghdad e quando la stella di Al Maliki si appanna, a causa di un legame con Teheran divenuto troppo stretto, è il suo nome che trova il consenso di leader sciiti, curdi e sunniti. Trasformandosi nel candidato più sostenuto dagli Usa, come conferma Biden nella telefonata notturna, in cui promette di accelerare la cooperazione contro le cellule di Isis. Ciò che più colpisce Biden è il doppio messaggio di Al Abadi: l’unità dell’Iraq è irrinunciabile, i terroristi devono essere eliminati.
m. mo., La Stampa 12/8/2014