Maurizio Crosetti, la Repubblica 12/8/2014, 12 agosto 2014
FALSA VOLONTÀ DI CAMBIAMENTO PER INTERESSI DA BOTTEGAI
La piccola bottega degli orrori ha finalmente il suo presidente, senza offesa per una categoria, i bottegai appunto, ben più dignitosa dei padroni del pallone, o almeno della loro bulgara maggioranza. L’uomo delle banane, l’autore delle esilaranti battute sugli handicap delle donne calciatrici e sull’assassino di John Kennedy, l’ormai celeberrimo Carlo Tavecchio, è stato scelto per togliere dalla palude il nostro sport più popolare e amato. Auguri, più a noi che a lui.
Pochi mesi dopo un morto da stadio e la chiusura delle curve per razzismo, poche settimane dopo il ridicolo campionato del mondo azzurro, club e Leghe non hanno saputo trovare nulla di meglio di questo burosauro, presidente debole nelle mani dei poteri forti. I suoi grandi elettori sono il latinista Claudio Lotito, l’eterno Adriano Galliani e il giocattolaio Enrico Preziosi, già condannato a suo tempo per bancarotta e frode sportiva. Insieme a loro, però, ci sono un sacco di dirigenti senza la minima voglia di cambiare, gente tenuta insieme solo dagli interessi, persone prive di visione più ampia: il loro colpo d’occhio comincia e finisce dentro il portafoglio, peraltro sempre più vuoto, visto come hanno conciato il calcio.
Pappa e ciccia, tarallucci e vino: le scene in diretta dal luogo dell’elezione, triste come tutti gli alberghi vicini agli aeroporti, provocano più imbarazzo che rabbia e raccontano il peggio dell’Italia. Nonostante la terribile frase razzista, un suicidio in qualunque paese normale ma non in Italia, la vittoria di Tavecchio è il trionfo dell’immobilismo, e smaschera una volontà di cambiamento assolutamente falsa. I complimenti e il benvenuto del presidente del Coni all’uomo delle banane dimostrano, al di là dei formalismi di facciata, che questi personaggi fingono anche quando litigano, o quando alzano il sopracciglio indignati (ma non è vero): sono in realtà una confraternita, nella quale - va detto - neppure il nome di Albertini sembrava un dono della provvidenza. Troppo debole anche lui, e sostanzialmente invisibile nel suo periodo di vicepresidenza federale, per incarnare un’epoca nuova. E comunque, chi mai la vuole un’epoca del genere?
Nel paese in cui un vicepresidente del Senato (Calderoli) chiama orango una ministra di colore e non viene rimosso, nel paese di Razzi e Borghezio, uno come Tavecchio poteva perdere una corsa già vinta? Come un tizio così possa riformare i campionati, rinnovare nazionale e settori giovanili, trovare un ct valido, combattere i suoi colleghi di curva amanti delle banane, resta un mistero glorioso. Solo una cosa, presidente Tavecchio: non dica che sarà il presidente di tutti. Manco per niente. Lei sarà solo il presidente di quelli come lei.
Maurizio Crosetti, la Repubblica 12/8/2014