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 2014  agosto 12 Martedì calendario

“SONO IL RE DEI BESTSELLER MA RIMANGO UN FANTASMA”

[Intervista a Andrew Crofts] –
Andrew Crofts è uno scrittore inglese, ha 61 anni e ha venduto decine di milioni di copie in tutto il mondo. Il problema, o la fortuna – dice lui – è che non lo sa quasi nessuno. Perché Crofts è un ghostwriter, uno “scrittore fantasma”, un produttore seriale di opere di successo che poi cede a più noti colleghi o personalità. Di oltre ottanta libri pubblicati in quarant’anni di carriera, decine sono finiti in cima alle classifiche di vendita inglesi. Ma il suo nome non compare (quasi) mai in copertina, nonostante le pubbliche lodi di Robert Harris e fittissimi faldoni passati a editori mondiali come Penguin e HarperCollins.
Alcune sue fondamentali scritture sono alla luce del sole, come il fortunatissimo Vendute! scritto con Zana Muhsen (Mondadori), o The Change Agent per il celebre informatico inglese James Martin e l’intimo Fabbricante di sogni ( Piemme). Alcuni dicono che Crofts fosse pronto a scrivere anche la biografia ufficiale dell’ex presidente Mubarak, prima del caos in Egitto. Il resto del suo lavoro, però, è avvolto nel mistero. Oltre che “fantasma”, dice di sentirsi uno “sgobbone voyeur” alla Nick Carraway del Grande Gatsby. Eppure, dichiara Crofts, di questo mestiere così “trasparente” «esistono solo i “pro”. Di “contro” non ne conosco». Perché Crofts è uno dei ghostwriter più prolifici d’Inghilterra. E se la passa decisamente meglio di molti altri (aspiranti) scrittori che pagherebbero pur di vendere qualche migliaia di copie. E infatti sono in molti, tra vip, romanzieri soffocati dal tempo e nebbiosi sconosciuti, che lo retribuiscono profumatamente. In cambio, Crofts, oltre al rigoroso rispetto dell’anonimato dei suoi committenti, indossa il ruolo di nègre littéraire , come si diceva in Francia con disprezzo. Ma le cose, nel frattempo, sono molto cambiate. Già a fine anni Cinquanta, Gabriel García Márquez notava in Dall’Europa e dall’America ( Mondadori) che «il “negro” è un’istituzione necessaria, nobile e giusta, alla quale solo adesso si comincia a rendere giustizia». Del resto, il fenomeno è in grande espansione, anche in Italia (basta cercare “ghostwriter” su Google). E così, il prossimo 14 agosto, Crofts pubblicherà in tutto il mondo il suo Confessions of a Ghostwriter, dove rivelerà i segreti della sua vita “nell’ombra”.
Signor Crofts, quando ha scelto questo lavoro così invisibile?
«Avevo 17 anni, la scuola era finita e lavoravo come giornalista freelance. Un giorno, lo scrittore che stavo intervistando mi disse che gli erano stati chiesti tre libri, ma che non aveva il tempo di scriverli. “Perché non diventi il mio ghostwriter?”, mi chiese. Mi sembrò un’idea così brillante che subito dopo cominciai a farmi pubblicità postando annunci sulla rivista britannica Bookseller».
E poi che cosa è successo?
«Hanno cominciato a contattarmi sempre più persone. Il libro successivo è stato Vendute! di Zana Muhsen. In pochi anni ho venduto cinque milioni di copie. E così hanno cominciato a farsi avanti editori e agenti letterari per farmi scrivere sempre di più. Oscurando il mio nome, ovviamente ».
Quanti libri scrive all’anno?
«Tre. Per ogni opera impiego circa tre mesi. Mi sveglio la mattina presto e mi metto subito a lavorare, in genere per 8-10 ore al giorno».
E quanto guadagna?
«Dipende da molti fattori. Al momento, al cliente chiedo mediamente circa 130mila euro per ogni lavoro».
Qual è la cifra massima che ha ottenuto per una singola opera?
«780mila euro».
Sono compensi spaventosi, soprattutto nell’editoria di oggi. Lei per denaro accetta qualsiasi compito o fa anche una selezione “di qualità”?
«Dipende. Innanzitutto, mi occupo principalmente di biografie e saggistica, a volte di romanzi. Tenga presente che ricevo due o tre richieste al giorno, per un totale di un migliaio all’anno. Secondo le mie stime, oggi il 50 per cento della saggistica e il 10 per cento della narrativa britanniche sono opera di ghostwriter. Quindi, a prescindere, devo declinare molte proposte. In generale, cerco soggetti che mi interessano, esperienze nuove. Al tempo stesso, però, non rinuncio a progetti che prevedo molto remunerativi».
Non prova un po’ di invidia quando un suo libro, con un altro nome, ottiene grande successo? Non ha mai pensato di voler essere uno scrittore alla luce del sole?
«Mai. Perché è una questione di aspettative. Io so dal principio di essere un ghostwriter. Quindi, se il libro vende bene, vuol dire solo che ho svolto il mio lavoro egregiamente. Niente di più. Se fossi un ghostwriter del primo ministro, sarei soddisfatto se un mio discorso gli facesse ricevere una standing ovation pubblica. Ma non vorrei fare mai il primo ministro».
Perché ha delle aspettative così misurate, nonostante le sue qualità?
«Perché, secondo me, i “pro” del ghostwriter sono tanti: una paga eccellente, che per uno scrittore freelance è un miracolo. Secondo, si incontrano le persone più interessanti del mondo: inventori, star dei reality, dittatori, rapinatori, con i quali si entra spesso in intimità. Terzo, sono stato in posti che mai avrei visto senza questo mestiere. Infine, hai molto tempo per riflettere e soprattutto per stare in famiglia».
E come trova l’ispirazione per un libro che ha concepito qualcun altro?
«Il ghostwriting è come il giornalismo. Solo in una versione più ampia. Hai una storia e la racconti come meglio credi. La cosa più importante per un ghostwriter è sopprimere i propri pensieri, sentimenti, opinioni. E guardare il mondo con gli occhi di un altro, ossia “l’autore” del libro. Punto».
Non ha mai avuto il “blocco dello scrittore”?
«No, mai. Se un autore si blocca, vuol dire che non ha fatto ricerche a sufficienza o che non ha la trama chiara in testa. Una volta raccolte tutte le informazioni necessarie, le parole vengono da sole. Non ho mai mancato una deadline. Per un ghostwriter, sono cruciali professionalità e affidabilità. Per questo gli editori si rivolgono a loro».
Le sue regole di scrittura sono cambiate nel tempo?
«No, sono più o meno le stesse. Ma il vero cambiamento c’è stato con il self-publishing e la concorrenza che si è scatenata negli ultimi tempi, dalla televisione a Internet, per conquistare il tempo libero delle persone».
Qual è il segreto per vendere milioni di copie?
«Ci sono due strade. La prima: si racconta ai lettori qualcosa che non sanno, che però agognano di sapere. In questo caso bisogna sorprenderli. E questo è impossibile se non si ha un “high concept” (ossia un’idea forte e facilmente trasmissibile come i blockbuster di Hollywood, ndr ), che si possa riassumere in 25 parole. Il resto viene da solo. Poi c’è la seconda via: bisogna mettere i lettori a proprio agio e fargli capire che hai intenzione di raccontare quello che si vogliono sentir dire, che si tratti di thriller, romanzo rosa, fantascienza o letteratura erotica. In questo caso, bisogna attenersi strettamente alle regole del genere, perché questo tipo di lettori vuole sentirsi al sicuro. E arrivare sani e salvi alla fine del libro. Tutto qui».
Antonello Guerrera, la Repubblica 12/8/2014