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 2014  agosto 12 Martedì calendario

FISCO DI FAVORE PER I COLOSSI HI-TECH: COSI’ L’IRLANDA È TORNATA A RUGGIRE

Di fatto è un triangolo, i cui vertici so­no il Marker Hotel a Grand Canal Square, Bath Avenue e Haddington Road. Una piccola porzione dell’altrimenti sonnolenta Dublino, ma qui l’area di Grand Canal da tempo ha cambiato volto e cam­biato anche nome. Da quando è diventata il polo tecnologico–residenziale della capi­tale irlandese si chiama infatti Google Town, ma i dublinesi la chiamano forse più ap­propriatamente ’Google Ghetto’. «Qui – spiega Elena Ianni, team marketing mana­ger di Twitter – c’è l’Irlanda scintillante, quel­la che ha attirato grandi marchi innovativi come Google, appunto, Twitter, Oracle, Linkedin, Facebook grazie a politiche fisca­li molto favorevoli e di conseguenza 500– 600mila fra irlandesi e immigrati di alto li­vello da tutto il mondo». Un ghetto, appun­to, un ghetto di ricchezza artificiale, dove gli affitti sono stellari e un appartamento libe­ro dura forse metà giornata. Ed è alla luce di questo triangolo dell’effi­cienza e della tecnologia che l’Irlanda ha ri­salito la china della recessione e delle sven­turate politiche economiche che l’avevano fatta precipitare nel recinto dei diseredati d’Europa, quei ’Pigs’ (acronimo per ’maia­li’) che comprende Portogallo, Irlanda (ma c’è chi ci mette volentieri anche l’Italia), Gre­cia e Spagna. Quelli cioè che sono stati co­stretti a fare i compiti a casa, sotto lo sguar­do severo della troika (Fmi, Bce e Commis­sione Europea). E questi compiti, a sentire i grandi contabili d’oltreoceano, sembre­rebbe siano stati fatti con diligenza.
Solo pochi giorni fa la Banca centrale irlan­dese ha alzato le stime di crescita del Paese per il 2014 al 2,5% dal 2%. Nell’ultimo bol­lettino economico trimestrale si prevede per il 2015 un incremento del Pil del 3,3%, a fron­te del 3,2% precedentemente stimato. Un autentico trionfo per il governo: la coalizio­ne guidata dal premier centrista e leader del Fine Gael Enda Kenny può ritagliarsi così un maggior spazio di manovra fiscale per ridurre gli effetti negativi sull’economia do­vuti alle politiche di austerità. Anche il tas­so di disoccupazione calerà di quasi un pun­to, dall’11,6% attuale al 10,5% nel 2015.
Tutto bene? No, affatto. L’uscita dalla crisi è stata lenta, le misure di austerità stabilite dal piano di salvataggio hanno colpito du­ramente la domanda dei consumatori e ap­pena si esce dal ’Google Ghetto’ ritroviamo la Dublino di sempre, capitale di un’isola dove la carestia, la povertà, la fame perfino (rammentiamoci di quella Great Famine, la terribile malattia della patata che colpì il Paese nel 1845 e costrinse all’emigrazione centinaia di migliaia di persone svuotan­dolo di fatto) sono come inscritte nel Dna nazionale.
«È vero che i dati dei sondaggi suggerisco­no che le esportazioni stanno crescendo negli ultimi dodici mesi– dice Joe O’Shea, columnist dell’Irish Times –, come è inne­gabile il boom degli utili per Ryanair, la compagnia low cost che ha chiuso il primo trimestre con un risultato nettamente mi­gliore rispetto alle previsioni e un balzo del 152% rispetto all’anno precedente. Ma Rya­nair non è l’Irlanda». È vero. E basta spostarsi, andare nel sel­vaggio ovest, nel Connemara, nella Kerry County per ritrovare un panorama com­pletamente diverso. Come a Kenmare, piccolo centro vicino a Killarney, un’area turistica famosa pervasa tuttavia da un irrimediabi­le sentore di stagnazione, di immobilità. «Con isole di povertà – come mi spie­ga il reverendo Malloy, rammentandomi l’etimo gaelico di Killarney, ovve­ro ’Chiesa dei susini’ –, i­sole che non sono mai scomparse del tutto, anzi, quando è cominciata la parabola discendente del­l’Irlanda la disoccupazio­ne è cresciuta sensibil­mente e molti sono rimasti a casa. E an­che se ora ci dicono che le pagelle delle società di rating migliorano, io non vedo grandi cambiamenti. La gente si arrangia come può, solo il turismo può tenerci a galla, ma anche quello è tutto sommato deludente. L’Irlanda promette molto e al­la fine mantiene poco». Eppure sulla carta la crisi è finita. Standard & Poor’s ha migliorato il rating dell’Irlanda ad A- da BBB+ con outlook positivo. Me­glio dell’Italia, senza dubbio. Solo tre anni fa Dublino lanciava un drammatico Sos per far fronte al crollo del sistema bancario che stava affossando le finanze pubbliche. «L’Europa – racconta O’Shea – stanziò un pacchetto di 85 miliardi di euro con il vin­colo di un deficit molto contenuto e lo spet­tro di un debito pubblico al 117%. Il tasso di disoccupazione era salito dal 4,5% del 2007 al 14%». Una tragedia sociale, che ha comportato una cura di tipo greco: taglio della spesa pubblica, taglio degli stipendi della pubblica amministrazione, aumento delle tasse. Fino all’uscita dal tunnel del di­cembre scorso. Ma con un costo sociale non indifferente. E l’impennata dei prezzi degli immobili e degli affitti.
«La rinascita economica irlandese si basa su dati forse un po’ drogati – dice Herman Beidecker, giovane ingegnere di Am­burgo che fa parte di quella pattuglia privilegiata di im­migrati di alto livello giunti da tutto il mondo –: sono gli affitti crescenti a dare l’im­pressione del ritorno al be­nessere, le case intorno al ’Google Ghetto’ di Dubli­no si vendono o si affittano al doppio o al triplo di un tempo. E sono spesso casa misere, bisognose di manu­tenzione, edifici lasciati an­dare, ma dove i proprietari contano sul fatto che l’eser­cito dei googlers è in continuo avvicenda­mento. Non si resta mai più di due o tre an­ni ». Un fenomeno che riguarda la sola Du­blino e la sua folta massa di superimpiega­ti dei grandi brand tecnologici. Il resto del Paese è rimasto sostanzialmente identico al passato: dolce, piovoso, malinconico. E strutturalmente povero.