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 2014  agosto 12 Martedì calendario

È ROMA IL BAZAR NAZIONALE DEL FALSO

Roma è la capitale della contraffazione. Chi la gestisce è la criminalità organizzata, chi vende il prodotto low cost sono gli immigrati, i vu’ cumprà che infestano la città e la costa a pochi chilometri. Il fenomeno del falso ormai aggredisce tutti i settori commerciali. I tradizionali: alimentare, elettronica, video e musica, automobilistico, abbigliamento, oggettistica, pelletteria, calzaturiero, giocattoli e cosmetici. E anche quelli in continua espansione: il farmaceutico soprattutto. Il giro d’affari sfiora i venti miliardi di euro all’anno in tutta Italia. Nel 2013, a Roma, la Confcommercio ha stimato una perdita di 8,8 miliardi. «I proventi frutto del contrabbando, e delle contraffazioni, hanno ormai raggiunto se non superato quelle degli stupefacenti. La criminalità a scoperto la praticabilità di questo nuovo redditizio business», ha detto il procuratore aggiunto Antonio Capaldo. A gestirlo c’è soprattutto la criminalità organizzata. Sovente i clan campani (numerose le inchieste romane). Hanno legami con le industrie delle regioni prolifiche del Dragone Rosso e la malavita dagli occhi a mandorla che ha invaso i luoghi storici della grande città. I boss hanno pagato il viaggio di connazionali giunti a Roma poveri in canna. Lo ha spiegato bene un rapporto della Finanza durante l’improvvisa nascita della Chinatown all’Esquilino: «I cinesi hanno cominciato a investire i proventi di attività illecite (prostituzione orientale, sfruttamento della manodopera clandestina ed estorsione) acquistando i negozi da commercianti romani che hanno ceduto la propria attività allettati da buone somme in denaro pagate cash. Ora lamentarsi è troppo tardi». La mafia gialla ha dato spallate ai vecchi commercianti a colpi di valigiette piene di soldi coi quali ha comprato le attività commerciali in rioni di prestigio. E ha messo in piedi i suoi negozi-campionario: chi è interessato ad acquistare può vedere gli articoli che si possono produrre e li ordina. E poi c’è il commercio al minuto. Roma è l’ingranaggio principale di questo flusso di uomini e merci. Addirittura un’inchiesta della Squadra mobile ha dimostrato che i trafficanti cinesi acquistano i nostri rifiuti, li tritano e ne ricavano gli articoli - nocivi per la salute - che finiscono nelle nostre vie e piazze venduti da africani e asiatici. Il listino guadagni degli abusivi: due euro per ogni pezzo. Non importa a che prezzo siano venduti al pubblico il pacchetto di fazzoletti di carta (2,5 euro), i calzettoni di spugna (5 euro tre paia), il berretto di lana (5) o tre strofinacci da cucina di cotone (6 euro). Alla stazione Termini il grossista nigeriano o bengalese che rifornisce la fitta rete di ambulanti vuole quella quota fissa. Il resto può tenerselo il venditore. I bengalesi vanno a percentuale: dal 30 al 40 ad articolo. Roma è un grande bazar illegale.