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 2014  agosto 12 Martedì calendario

L’OCCASIONE PERSA PER UNA RIFORMA


I patiti del genere trash godono. Stanno già aspettando le immancabili interviste istituzionali che Carlo Tavecchio rilascerà ai microfoni di Raiuno nell’intervallo dei match della nazionale. Come gaffeur il neopresidente della Figc ha infatti dimostrato, tutto sommato in pochi giorni, di avere tutti i requisiti per oscurare la fama di qualsiasi concorrente. Per YouTube sarà una manna. Per tutti gli altri e per chi ha a cuore il futuro del calcio italiano inizia invece un periodo di sofferenza, non sappiamo quanto lungo. Tavecchio va al potere essenzialmente per organizzare una spartizione di favori e poltroncine che vedrà come protagonista il suo angelo custode, al secolo Claudio Lotito, che non passa certo per essere un imprenditore schumpeteriano ed è riuscito a disamorare persino i sostenitori laziali. Ma è evidente che tutta la compagnia di giro, coagulatasi attorno al candidato dilettante, è stata messa insieme riaprendo le polverose soffitte del calcio e chiedendo prestiti con obbligo di riscatto a Madame Tussauds, quella del museo delle cere. Dopo la presidenza Abete c’era una richiesta di forte discontinuità e invece la nuova maggioranza esprime una cultura e una progettualità inadeguata rispetto allo spirito dei tempi e alle necessità. Il calcio italiano sta subendo un processo di rapido declassamento di cui solo in parte sono responsabili i (non) risultati sportivi. Il fatturato dei nostri grandi club quando va bene è all’incirca la metà di quello degli avversari europei. La spedizione azzurra in Brasile è stata quanto di peggio si potesse prevedere ma dietro c’è un deficit di organizzazione che abbraccia gli stadi, il merchandising, gli acquisti compulsivi di mediocri calciatori dall’estero e la debolezza dei vivai. Convive con queste lacune fino a formare un mix deprimente un altrettanto grave deficit di sicurezza che ha contribuito ad allontanare prima le famiglie dal campo e ora anche i tifosi. Il potere di veto degli ultrà è cresciuto geometricamente negli ultimi anni e le società da sole non sembrano in grado di tenere la barra dritta e di combattere con efficacia l’estremismo delle curve. Intanto fuori dall’Italia i capitali del calcio-che-conta ormai si comportano da soggetti globali: emiri del Golfo e oligarchi russi ne rappresentano la manifestazione più evidente ma se andassimo a indagare i passaggi che stanno dietro i grandi colpi di mercato e le modalità di finanziamento vedremmo comparire di tutto e di più. Il fair play senza un credibile apparato di sanzioni è rimasto un’icona del politicamente corretto e i club spagnoli fanno incetta di campioni grazie anche a banche compiacenti e a un Fisco credulone. Per risalire la corrente e il ranking mondiale — come ha fatto, giova ripeterlo, il calcio tedesco — non abbiamo alternative, il football italiano si deve dare un suo piano industriale e un programma di riforme radicali per cambiare delle norme che in qualche caso risalgono al 1981. Tavecchio non sarà in grado di farsi carico di questo bisogno di innovazione e non a caso una buona fetta dei club di serie A non l’ha votato. Gli sconfitti, che pure hanno combattuto fin all’ultimo per impedire la «lotizzazione» del calcio, hanno commesso però un errore tutt’altro che secondario: Demetrio Albertini non era certo l’uomo della discontinuità.