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 2014  agosto 12 Martedì calendario

IL POTERE ROMANO DELLE LOBBY CHE OTTENGONO ANCHE I COMMI AD PERSONAM


ROMA — Se volete un piccolo esempio di come a Roma si muovono le lobby di cui ha parlato Matteo Renzi al Financial Times, suggeriamo il caso Buonitalia. Già il nome di questa società, creata dal nulla nel 2002 dal ministro dell’Agricoltura Gianni Alemanno, era tutto un programma. Nata per promuovere il nostro agroalimentare all’estero (ma non c’era già l’Ice?) manifestò bontà nel campo delle consulenze. Nel 2004-2005 ne aveva distribuite 11, per 273 mila euro. I nomi? Quelli dei futuri deputati del centrodestra Barbara Saltamartini e Aldo Di Biagio, quello della futura segretaria particolare del sindaco di Roma Alemanno e dell’animatore del Movimento Area Destra. Per non parlare dei contenuti: l’organizzazione della scalata di Alemanno al K2, il viaggio del ministro ad Atene in occasione delle Olimpiadi del 2004, con tanto di escursione sull’Acropoli… Basterebbe per decretarne subito la pietosa sepoltura. Invece l’andazzo continua. Finché nel 2011 la liquidazione è inevitabile. E la sorte dei 19 dipendenti sarebbe segnata, se non saltasse fuori un curioso salvagente: l’obbligo di riassorbirli tutti. Dove? All’Ice, naturale. Il relativo decreto viene firmato il 28 febbraio 2013, tre giorni dopo le elezioni politiche. Insorgono i vincitori di un concorso e mai assunti: «L’Ice assorbirà dunque 19 dipendenti a tempo indeterminato di Buonitalia che furono assunti a chiamata diretta! Invece noi, che l’unica chiamata diretta l’abbiamo avuta per presentarci al concorso, durato quasi due anni, con 17 mila partecipanti, una prova preselettiva, due scritte, una orale, all’Ice non abbiamo ancora messo piede». Ma al loro fianco quei giovani non hanno nessuna lobby. Solo il viceministro allo Sviluppo, Carlo Calenda, che quei 19 scandalosi passaggi all’Ice si rifiuta di autorizzarli.
L’episodio dice tutto. Perché se si può salvare senza colpo ferire una microscopica clientela ministeriale, facile immaginare che cosa si muove dietro interessi ben più consistenti. Come ha toccato con mano Renzi, arrivato a dire nell’intervista pubblicata ieri dal quotidiano britannico: «Roma è una città piena di lobby. L’Italia è un Paese basato sul capitalismo di relazione. Questo sistema ha distrutto il Paese».
Di sicuro la mancanza di una legge con la quale si regolamenti l’azione dei lobbisti, legge che nessuno, ma proprio nessuno, ha mai voluto fare, crea le condizioni ideali perché i gruppi di pressione possano condizionare pesantemente le decisioni politiche. Con scarsissima resistenza, va detto chiaramente, opposta dalla maggioranza dei parlamentari. Non che in altri Paesi, quali per esempio gli Stati Uniti, i rischi di condizionamento siano minori. Almeno però si sa da chi parte il colpo.
In Italia, poi, ci sono anche altre lobby fortissime che agiscono all’interno del Palazzo. Grumi di potere consolidati grazie alle regole sull’inamovibilità delle alte burocrazie, che cementa i rapporti e crea cordate allo scopo principale di tutelare i propri interessi e privilegi. Innumerevoli gli esempi.
Il governo (Monti, in questo caso) stabilisce di impedire ai consiglieri regionali di incassare il vitalizio se non a 66 anni di età e con almeno due mandati alle spalle? Spunta provvidenziale un emendamento all’apparenza inutile, che in realtà smonta tutto. Risultato: nel Lazio c’è oggi chi becca il vitalizio a 50 anni, e in Sardegna a 41.
I decreti applicativi della legge anticorruzione prevedono una serie dettagliata di incompatibilità negli incarichi pubblici? Alla prima occasione parlamentare si esclude dall’applicazione quelli in essere.
Renzi decide di tagliare lo stipendio ai manager delle aziende pubbliche? Ecco un emendamento con cui si salvano dal taglio le società che hanno emesso un bond su qualche mercato. Tipo Cassa depositi e prestiti, Poste, Ferrovie. Se ne esce col compromesso: deciderà il governo entro tre mesi. Il che lascia comunque dei margini.
In Parlamento passa a sorpresa una norma che consente allo Stato di recedere dagli affitti d’oro? Arriva subito un emendamento per risparmiare i palazzi dei fondi d’investimento immobiliare.
Bisogna riportare a 70 anni dagli attuali 75 l’età pensionabile dei magistrati? Scoppia la rivoluzione: «Impossibile», protestano. «Ci sarebbero 400 posti vacanti e per fare un concorso ci vogliono quattro anni». Perché quattro anni e non quattro mesi? In quattro anni si prendeva una laurea in giurisprudenza… Non importa: la discesa sarà comunque più graduale.
Si pensa di mandare in quiescenza a 68 anni i professori universitari che hanno già il massimo dei contributi, per favorire il ricambio generazionale? I docenti protestano argomentando che così si rinuncia ai luminari. E i tecnici sollevano immediatamente problemi di copertura. Amen.
Nella riforma della Pubblica amministrazione spunta l’abolizione della cosiddetta ausiliaria, meccanismo che consente agli alti gradi militari di permanere in posizioni di comando pur avendo superato l’età pensionabile? Salta come un tappo di champagne.
Ma il massimo è quando l’obiettivo di questo lavoro ai fianchi non è nemmeno la difesa di una categoria, ma di una singola persona. Capita così che nello stesso decreto venga reintrodotta una norma con la quale, stabilendo per i magistrati l’obbligo di mettersi fuori ruolo ricoprendo altri incarichi anziché restare in aspettativa, si facevano salve le aspettative attualmente in essere. Quello che è stato da alcuni chiamato «comma Volpe»: avendo individuato in Italo Volpe, magistrato del Tar e direttore delle Dogane con delega sui Giochi, il pressoché unico beneficiario. Prova ulteriore che a toccare la giustizia amministrativa è facile prendere la scossa, il taglio delle sedi distaccate dei Tar è diventato un taglietto: da otto a tre.