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 2014  agosto 11 Lunedì calendario

MILITARI, DISSIDENTI E SCANDALI IL “SULTANO” HA TRAVOLTO TUTTO

Vola la Turchia, anzi volano gli indicatori economici, sotto la spinta di Erdogan. È il gennaio del 2007, il leader dell’Akp guida il governo, un islamico-moderato l’etichetta che gli viene appiccicata. Ma se Ankara sperimenta a partire dal 2007 un «quinquennium felix», con un benessere diffuso mai provato, città, anche quelle dell’Anatolia più arretrata, che cambiano faccia, e massicci investimenti in infrastrutture, dietro le quinte di uno splendore quasi antico, si allungano ombre: lotte con i militari, stretta sui costumi, battibecchi con l’Europa con cui i negoziati di adesione vanno a rilento, smanie di grandezza e sogni da potenza regionale, scontri aperti con Israele e virate verso quella che i suoi critici definiscono deriva islamista. Oltre ai bandi e chiusure temporanee di Twitter e YouTube.
LO SMACCO AI MILITARI
Così, già nel luglio del 2007 le cose cambiano. L’Akp stravince le elezioni con il 46,6%. E gli analisti incolpano della vittoria proprio i militari, che nell’aprile prima avevano pubblicato un comunicato stampa, minacciando il golpe. Il popolo turco è stanco del vecchio corso e di Erdogan si fida. In agosto, Abdullah Gul, ministro degli Esteri e compagno di partito del premier diviene Capo di Stato, rompendo il bilanciamento del potere laici/islamici-moderati. E da lì è un crescendo che porta alla madre di tutte le battaglie: quella per il velo islamico.
LA SOCIETÀ E L’ISLAM
Nel febbraio del 2008, forte del mandato popolare, Erdogan inizia una battaglia in Parlamento per la liberalizzazione del velo nelle università, vietata da una sentenza della Corte Costituzionale del 1989. La vincerà nell’ottobre del 2013, con un doppio risultato: il velo verrà liberalizzato in tutti i luoghi pubblici, insieme con la barba islamica.
La linea dura contro i dissidenti
Solo la magistratura tenta di bloccare la marcia di Erdogan verso il potere assoluto. La Yargitay, la Cassazione turca, chiede la chiusura dell’Akp per attività anti laiche. Ma la Corte Costituzionale, con un voto di scarto, si oppone perché vorrebbe dire andare contro alla maggioranza degli elettori. Scampata la chiusura, Erdogan si organizza. Fra il 2009 e il 2012 migliaia di persone sono processate per terrorismo, tentato colpo di Stato, propaganda filo curda. Dietro le sbarre, militari, giudici, giornalisti, imprenditori e attivisti politici. I procedimenti dividono il Paese: chi crede sia una svolta per la Turchia, chi pensa siano modi per eliminare oppositori.
LA CHIMERA DEL NEOTTOMANESIMO
Sistemati gli oppositori e forte di un’economia che continua a crescere, Erdogan ora guarda fuori dai confini nazionali e nomina il suo fedelissimo, Ahmet Davutoglu, ministro degli Esteri, noto per le teorie del neottomanesimo e il motto «nessun problema con i vicini». Le pretese eccessive di ambire a ruolo di player regionale, la frattura con Israele e la gestione fallimentare della crisi siriana producono l’effetto opposto.
NASCE UN NUOVO SULTANO
Per consolidare il potere il premier ha bisogno di ridimensionare quello dei militari e della magistratura, che rappresentano i custodi dello Stato laico e che possono essere ancora potenzialmente pericolosi. Ci riesce il 12 settembre 2010, con il referendum costituzionale. Il sì conquista il 58%. Questo e il voto politico del 2011 consacrano Erdogan sultano della Turchia moderna, ma segnano anche l’inizio del periodo più autoritario.
LA STRETTA SULL’ALCOL E GEZI PARK
La prova che qualcosa sta cambiando arriva con il pacchetto di legge che proibisce la vendita di alcol per strada dalle 22 alle 6 del mattino dopo e la sua semplice pubblicizzazione. Il provvedimento viene male accolto dall’opinione pubblica, anche perché giunge dopo la riforma dell’istruzione, che agevola le scuole devozionali, e la «crociata» del premier contro l’aborto. Il malcontento esplode con la rivolta di Gezi Park. Nata come protesta ambientalista, si trasforma ben presto in un movimento di massa contro le politiche autoritarie del premier, che accusa media e governi internazionali di avere organizzato un complotto anti-turco. Scendono in piazza in milioni in tutto il Paese. Il bilancio: 8 morti; 53 giornalisti perdono il posto di lavoro.
LA «GUERRA» CON FETULLAH GULEN
Il 2013 si conferma l’annus horribilis di Erdogan. Il figlio del premier e molti ministri sono travolti da un maxi scandalo di corruzione. Il governo traballa, Erdogan è costretto al rimpasto. Seguono scandali sulla sua vita privata e sulla gestione della crisi siriana. La colpa ricade su Fetullah Gulen, filosofo islamico auto-esiliatosi negli Usa. È l’inizio di una guerra fra le due ali della destra islamica, che si conclude con la vittoria di Erdogan alle amministrative di marzo. Da ieri la Turchia è in una nuova era, ma il sultano è sempre Erdogan.
Marta Ottaviani, La Stampa 11/8/2014