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 2014  agosto 11 Lunedì calendario

IN CALABRIA E SICILIA RISCHIO EVASIONE AL TOP MA IL NORD PEGGIORA

Due cooperative di Gallarate e Varese gestivano un giro di badanti rumene in nero, fatturando le operazioni ai clienti, ma senza versare un euro di tasse. Un macellaio all’ingrosso di Orvieto – perfettamente sconosciuto al Fisco – girava con Porsche, Audi e Lamborghini. Un dentista di Treviso teneva una contabilità parallela e, tra il 2009 e il 2012, si è dimenticato di fare 10mila fatture. Un produttore vinicolo di Tempio Pausania ha venduto in nero le sue pregiate bottiglie per oltre 200mila euro in un anno. E queste sono solo alcune delle notizie di luglio, scelte a caso sulla stampa locale.
L’economia sommersa è come un iceberg gigantesco, che di tanto in tanto affiora nelle cronache locali grazie alle operazioni della Guardia di Finanza e delle Entrate. Ma per intuire le dimensioni dell’iceberg bisogna guardare i dati generali, non i casi singoli: si scopre così che nell’anno d’imposta 2012 i contribuenti persone fisiche hanno dichiarato al Fisco 800,4 miliardi di redditi, a fronte di 962,7 miliardi di consumi finali delle famiglie rilevati dall’Istat. Un divario di 160 miliardi, che diventa ancora più grande se si fa riferimento al reddito disponibile al netto delle imposte. In pratica, ogni 100 euro dichiarati al Fisco, gli italiani nel 2012 ne hanno spesi circa 120.
La differenza tra consumi e redditi è un indicatore importante del rischio di evasione, perché fa capire quanto il tenore di vita risulta incoerente rispetto all’imponibile dichiarato. Un po’ come applicare il redditometro al Paese.
Oggi il divario è più alto in Calabria, Sicilia, Valle d’Aosta e Campania. Ma in tutte queste regioni è diminuito rispetto al 2007 – ultimo anno pre-crisi – perché i consumi sono scesi più dei redditi. Come dire che l’economia sommersa è andata più in difficoltà di quella regolare. Il che tutto sommato è logico, vista l’elevata incidenza di pensioni e stipendi pubblici nelle regioni meridionali, oltre alla maggiore durezza con cui ha colpito la recessione.
Al contrario, il divario è cresciuto in quasi tutte le regioni del Centro-Nord: Lombardia, Emilia Romagna, Piemonte, Toscana e – in misura minore – Veneto, Liguria e Friuli Venezia Giulia. Questo significa che la spesa delle famiglie è scesa meno dei redditi.
Sicuramente una parte dei consumi è stata finanziata indebitandosi (lo rileva anche Bankitalia), ma l’importo dei prestiti concessi non basta a coprire il divario tra redditi e consumi. Per esempio, tra il 2007 e il 2012 le consistenze dei finanziamenti alle famiglie piemontesi sono cresciute di 10 miliardi e le sofferenze di 1 miliardo, ma ogni anno nello stesso periodo il divario è stato di 12-13 miliardi. E nello stesso arco di tempo le somme depositate su conti correnti e libretti postali sono aumentate.
Proprio nel tentativo di ricostruire il rapporto tra redditi nascosti e ricchezza accumulata la manovra "salva-Italia" di fine 2011 ha avviato l’istituzione di una super-anagrafe dei conti correnti. L’obiettivo era quello di arrivare a liste selettive di contribuenti a maggiore rischio di evasione, da sottoporre poi a successivi controlli. Un piano che ruotava intorno al nuovo redditometro come strumento principe per accertare persone fisiche.
La partenza molto travagliata e il ritardo accumulato rispetto agli obiettivi originari (la relazione tecnica alla norma che ha modificato il redditometro prevedeva un recupero di 2,2 miliardi di euro tra il 2011 e il 2013) stanno portando nei fatti a un ripensamento del contrasto all’evasione. Sia il piano del Governo anticipato nei giorni scorsi dal Sole 24 Ore sia l’ultima circolare dell’agenzia delle Entrate sui controlli (si veda l’articolo a pagina 3) sembrano aver spostato l’asse soprattutto verso la grande evasione. Da un lato, si punta a un maggiore investimento sullo scambio di informazioni con Authority di settore e amministrazioni finanziarie straniere, per contrastare soprattutto i fenomeni di strutture societarie opache e di frodi internazionali. Dall’altro, si focalizza l’attenzione sui grandi scostamenti tra redditi dichiarati ed evasione presunta per gli accertamenti sia da redditometro che con indagini finanziarie.
Ma al di là delle strategie per individuare più a colpo sicuro le situazioni di "nero", c’è tutta la partita dell’effettiva capacità di recupero delle somme contestate agli evasori. L’ultima relazione della Corte dei conti sul rendiconto generale dello Stato ha messo in luce come tra il 2000 e il 2013 le riscossioni tramite ruolo siano state appena l’11,5% (76,1 miliardi su 633): cioè, su 100 euro di evasione accertata ne sono stati riportati nelle casse dello Stato poco più di dieci. Del resto, sono 475 miliardi di euro i crediti affidati dalle Entrate a Equitalia nel corso degli anni. Un dato che dimostra come l’anti-evasione non si esaurisca solo nel numero e nel tipo dei controlli da effettuare.
Cristiano Dell’Oste e Giovanni Parente, Il Sole 24 Ore 11/8/2014