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 2014  agosto 11 Lunedì calendario

PER GLI IMMIGRATI L’«ASCENSORE SOCIALE» SALE PIANO PIANO

Chi prima arriva meglio si accomoda o, per lo meno, ha qualche opportunità in più. Il vecchio adagio vale anche in tema di immigrati: coloro che in Italia sono arrivati prima del 2001 – e quindi sono residenti da almeno 14 anni – mediamente svolgono lavori più qualificati, sono più spesso riusciti a strappare un contratto a tempo indeterminato e hanno buste paga superiori rispetto agli ultimi arrivati. Insomma, l’«ascensore sociale» per gli immigrati funziona, ma sale piano piano. Le indicazioni emergono da un’indagine realizzata dalla Fondazione Leone Moressa sul rapporto tra tempo di permanenza e mobilità sociale e occupazionale della popolazione immigrata.
In questi quindici anni sono cambiate molte altre caratteristiche: per esempio, mentre i primi flussi vedevano una maggioranza di uomini e di soggetti più adulti, negli arrivi più recenti prevalgono donne e giovani, effetto di ricongiungimenti e fenomeno badanti. A causa della crisi, si sono modificate anche la mappa della dislocazione degli stranieri sul territorio e quella della concentrazione occupazionale nei diversi settori.
Il tempo di permanenza nel Paese è un fattore importante, per tracciare l’identikit e l’evoluzione della componente straniera in Italia, che la ricerca della Fondazione Moressa (limitatamente ai nati all’estero di oltre 15 anni e residenti in Italia) ha suddiviso in tre gruppi: arrivati prima del 2001, cioè prima della legge Bossi-Fini (un terzo del totale), immigrati tra il 2001 e il 2006 (quasi il 40%) e immigrati negli ultimi sette anni (27%) dopo l’allargamento della Ue all’Est Europa.
«Già il sorpasso della quota femminile negli ultimi due periodi racconta molto dei cambiamenti sociali avvenuti. Tra le cause infatti ci possono essere i ricongiungimenti familiari e la richiesta di badanti – osserva Stefano Solari, direttore scientifico della Fondazione –, fattori che, insieme alla crisi in atto, hanno ridotto il tasso di attività (dal 76% al 61%): se infatti, prima del 2001 l’immigrazione era quasi esclusivamente dettata da motivazioni lavorative, negli ultimi anni è aumentata la quota di famiglie con bambini e casalinghe». Gli ultimi arrivati, del resto, incontrano maggiori difficoltà a trovare un posto, visto che il tasso di disoccupazione si limita al 15% tra i residenti "di vecchia data", ma interessa oltre un quinto dei soggetti appartenenti al terzo gruppo.
L’identikit della popolazione straniera è andato peggiorando anche sul fronte formativo e professionale. «Nei tre gruppi di arrivi – commenta Solari – si osserva una maggioranza di soggetti con titolo di studio basso, ma negli ultimi due periodi sono calati quelli con titolo medio, mentre sono ulteriormente aumentati quelli in possesso al massimo di licenza media e sono lievemente cresciuti i laureati, che però restano fermi a una quota del 10%». Inoltre il 7,5% di chi è venuto in Italia prima del 2001 riesce a svolgere una professione qualificata, nel 90% dei casi ha un contratto a tempo indeterminato e nel 14% dei casi si è avventurato in un’attività imprenditoriale autonoma. Percentuali che si riducono drasticamente nel terzo gruppo di arrivi. Per non parlare del sottoinquadramento: la quota di lavoratori che non riescono a ottenere un lavoro adeguato al proprio titolo di studio si aggira sul 40% (il doppio rispetto a quella dei lavoratori italiani), ma è più elevata tra gli ultimi arrivati. I più "vecchi" tra l’altro guadagnano il 17% in più rispetto a chi è arrivato da meno tempo.
Infine, la dislocazione territoriale: il Nord-Ovest si conferma l’area con la maggiore concentrazione di presenze straniere, ma è in contrazione. Quasi raddoppia, invece, la quota di presenze al Sud (dall’1l,6% ante 2001 al 19,3% dopo il 2006): un trend che si spiega probabilmente con la necessità d’individuare chance in settori manifatturieri diversi rispetto a quelli prevalenti nelle regioni settentrionali, colpiti dalla crisi di questi ultimi anni. Lo conferma anche l’analisi dell’occupazione settoriale: calano gli addetti nell’industria e nell’edilizia e aumentano quelli nei servizi e nell’agricoltura.
Rossella Cadeo, Il Sole 24 Ore 11/8/2014