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 2014  agosto 10 Domenica calendario

LA VOLONTÀ DI FERRO DELLA SCUGNIZZA DI POZZUOLI

C’è un solo rimpianto, confessato con lucida dolcezza (in un’intervista a Sandro Paternostro), nella favolosa storia di vita di Sofia Loren, nata a Roma da Romilda Villani e cresciuta a Pozzuoli, 25 chilometri a sud di Napoli, nella casa di via Solfatara 5, con la cucina affacciata sull’Anfiteatro romano: «Non sono mai stata bambina. Mai».
Eppure, proprio su quell’unica luce mancante dal firmamento di una diva che ha saputo realizzare ogni sogno, amore, fama, successo, figli, ricchezza, Sofia Loren ha edificato, pezzo su pezzo, il suo mito inossidabile. Il sacrificio della prima giovinezza, imposto dalla condizione di bambina figlia di ragazza madre, dall’educazione rigida e tradizionale, dalla semplicità della famiglia operaia poi travolta dalla guerra, è stato il viatico per il viaggio trionfale di Sofia nel mondo. Subito adulta, subito matura, appena sbocciata nella sua sfolgorante bellezza, Loren ha imparato a non sprecarsi mai, a dare alle cose il giusto peso, e soprattutto a lavorare, impegnarsi, studiare.
Il talento, a differenza del corpo statuario, della vita sottile, del seno rigoglioso, delle gambe lunghissime e degli enormi occhi da gatta («tutto quello che vedete lo devo agli spaghetti»), non poteva essere naturale. Andava nutrito e coltivato e infatti, evitando di farlo sapere ai quattro venti, dopo i primissimi film, Sofia intensifica le lezioni di recitazione con i migliori insegnanti della capitale, studia le lingue, legge i classici anglosassoni che Carlo Ponti, già uomo della vita anche se era ancora sposato, le faceva recapitare: «Venivo da Pozzuoli, per avere tutto quello che ho avuto, ho sempre lavorato moltissimo».
Le difficoltà del dopoguerra, l’assenza del padre Riccardo che non aveva mai sposato la madre, i racconti sfocati sui primi mesi di vita, su quell’enterocolite che l’aveva tanto indebolita, si erano trasformati in armi potentissime, utili per affrontare Roma, Hollywood, la concorrenza delle altre dive, l’autorità dei registi: «Il carattere è la chiave di tutto e io sono testona, determinata ad andare fino in fondo. Se hai la determinazione puoi sognare anche la luna, con buone possibilità di arrivarci».
Nelle immagini di Sophia racconta la Loren, scritto e diretto da Marco Spagnoli, in programma alla Mostra di Venezia per le celebrazioni della stella che compie 80 anni il 20 settembre (e poi su Diva, canale Sky 133, nel giorno del compleanno), si vede la stupenda ragazza del primo provino e l’attrice consapevole che non sbaglia un colpo, che parla senza l’ombra di accento partenopeo, che sa essere professionale e insieme ironica. Al giornalista che, accogliendola sulla scaletta dell’aereo, le chiede se è vero che ha portato con sé 40 cappelli, Sofia risponde con un sorriso: «E che cosa me ne dovrei fare di 40 cappelli?». Agli operai della Fiat di Torino che l’applaudono mentre visita gli stabilimenti firma autografi con diligente pazienza, senza tradire un’ombra di stanchezza. A chi le parla di divismo ribatte saggia: «Essere star significa essere sempre nell’occhio del ciclone, ma anche sentirsi protetti e circondati dall’amore degli altri». Quanto alla bellezza, beh, quella «da sola non basta, ci vuole anche l’anima, e il cuore». E poi «bisogna saper scherzare e usare il cervello, sempre che se ne abbia uno».
Alla base del monumento Loren c’è una salda lista di priorità. C’è Ponti, il produttore che fu tutto, amante, marito, padre, consigliere e datore di lavoro, ci sono gli incontri cruciali con Vittorio De Sica, Marcello Mastroianni e Charlie Chaplin che le diede l’insegnamento di fondo: «Mi disse che la prima cosa che dovevo saper fare nella vita era imparare a dire di no. Non l’ho mai dimenticato».
E poi ci sono due fari, sempre accesi, sempre pronti a illuminare la strada. Il desiderio innato di procreare («la maternità è talmente importante... se non avessi avuto bambini, mi sarei ritirata dal cinema») e l’esempio di mamma Romilda, nel bene e nel male. Come in uno specchio, nelle loro esistenze parallele madre e figlia si sono guardate l’una nell’altra: «Mia mamma mi ripeteva sempre la stessa cosa, “statt’attient, non ti fidare di nessuno”». In un transfert che nemmeno anni di analisi potrebbero garantire, a un certo punto dice: «Mia madre mi parlava di me come se Sofia Loren fosse lei...».
Anche in quel sogno esaudito, in quella specie di debito ripagato, c’è la potenza di donna Sofia: «Della professione di attrice non mi interessa tanto quello che mi offre, quanto quello che mi permette di tirare fuori da me stessa». Per questo, forse, nessun regista le ha mai affidato la parte che desiderava: «Volevo essere Anna Karenina». In quella cronaca di autodistruzione femminile, Loren non sarebbe stata a suo agio: «Una madre deve sempre riflettere due volte, una volta per sé e una volta per il suo bambino».
Fulvia Caprara, La Stampa 10/8/2014