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 2014  agosto 10 Domenica calendario

PENTIMENTI IRRAGIONEVOLI

Ci sono momenti che marcano delle tappe fondamentali nella nostra storia personale e costituiscono vere e proprie cesure tra un prima e un dopo: gli innamoramenti, la nascita di un figlio, la morte di un padre, l’incontro decisivo che ti cambia la vita. Queste svolte sono spesso il risultato di scelte dolorose, ma ancor più spesso si tratta di eventi che si introducono nella nostra vita in modo indiretto e poco manifesto; prendono forma ed acquistano espressione attraverso piccoli gesti: la particolare intonazione della voce in un commiato o l’aggettivo possessivo che si aggiunge al nome in calce, come un regalo inatteso. Nel ricostruire il percorso a ritroso, non sempre è possibile separare ciò che è deciso dall’agente e ciò che è portato dal caso o dalle azioni impreviste di altri agenti. Né si tratta di un esercizio puramente filosofico; anzi, guardarsi indietro e tentare un bilancio è una pratica inevitabile, anzi essenziale del nostro essere agenti situati. Lo sguardo rivolto al passato è sempre carico di emozione. Sono proprio le emozioni che motivano e guidano il bilancio sulle scelte di vita, che poco ha a che fare con il tirare le somme del contabile. I letterati lo sanno bene: per John Osborne è lo sguardo rabbioso verso un passato ingiusto, fatto di compromessi inaccettabili; per Robert Frost è lo sguardo indietro, consapevole e nostalgico, al bivio che si è oltrepassato; Jorge Luis Borges evoca il sentimento di infinite possibilità nel giardino dei sentieri che si biforcano.
Dal punto di vista filosofico, però, le emozioni verso il passato hanno uno statuto molto controverso. Ci si chiede se abbia senso farsi carico di tali emozioni, tantomeno affidare loro ruoli epistemici o pratici decisivi. Siccome l’azione è irreversibile e il passato immodificabile, le emozioni negative sembrano solo un onere in più per l’agente. In questa disputa Jay R. Wallace, professore di filosofia a Berkeley, ha avuto una posizione di spicco, sostenendo con forza che siamo responsabili dei nostri sentimenti e delle nostre emozioni e sulla molteplicità dei loro ruoli rispetto all’integrità dell’agente. In A View from Here affronta il tema dell’integrità nel tempo attraverso un’analisi raffinata del «rincrescimento dell’agente», un’emozione divenuta centrale nella filosofia analitica degli ultimi trent’anni, grazie a Bernard Williams. L’impostazione del problema è, infatti, quella di Sorte Morale, lo splendido saggio nel quale Williams anticipava il problema della sorte per la razionalità morale. Williams considera due casi emblematici dell’importanza costitutiva della sorte: Anna Karenina che abbandona la famiglia per un amante inaffidabile e il ritratto fittizio di Paul Gauguin che lascia la famiglia nell’indigenza per consacrarsi all’arte. Nel giudizio morale retrospettivo di Gauguin e Karenina gli elementi contingenti sono determinanti. La celebrità di Gauguin compensa la dura scelta di sacrificare gli obblighi familiari, ma la celebrità è anche questione di fortuna. La condanna che pesa su Karenina dipende anche, e in modo costitutivo, dall’inaffidabilità di Vronsky. L’ipotesi di Wallace è che questo problema possa essere utilmente affrontato dal punto di vista dell’agente, facendo leva su una categoria ampia, quella degli "attaccamenti" (attachments), ovvero, gli affetti, le relazioni, le amicizie, gli amori, le passioni, i piccoli e grandi progetti che danno significato alle nostre vite. Sono questi legami che ci radicano. La forza di questi legami sono al contempo la misura delle nostre sicurezze e delle nostre vulnerabilità.
Wallace fa emergere questa vulnerabilità in un modo piuttosto inquietante. La nostra visione pratica del mondo prende forma grazie ad elementi fortuiti e contingenti che vincolano il punto di vista della riflessione pratica. In particolare, tali elementi condizionano i nostri atteggiamenti emotivi verso le scelte del passato. Se Gauguin è un artista di successo e l’arte è il progetto fondamentale della sua vita, non può rincrescersi di aver abbandonato la famiglia nell’indigenza. Viceversa, siccome il progetto di vita di Anna Karenina con Vronsky è destinato all’insuccesso e il suo rincrescimento è giustificato e tanto profondo che sconfina nella disperazione. Rincrescimento e affermazione sono le due modalità, emotive e valutative ad un tempo, che condensano lo sguardo dell’agente sul suo passato.
Generalizzata, la tesi di Wallace ha conseguenze dirompenti. Infatti, se è vero che rincrescimento e affermazione sono modalità pesantemente condizionate dagli aspetti contingenti della storia del mondo, l’agente si trova nell’impossibilità di rincrescersi di eventi orribili e vergognosi o di condizioni che certamente non avrebbe scelto. Per esempio, un campione para-olimpionico non può, secondo Wallace, rincrescersi della sua disabilità perché su questa si è fondato il progetto portante della sua vita. La scelta sconsiderata dell’adolescente che decide di portare avanti la gravidanza, non può essere oggetto di rincrescimento in età matura, quando la maternità ha dischiuso il mondo nuovo di affetti profondi e irrinunciabili.
Questo modo di impostare la questione diventa presto contro-intuitivo, poiché ci si trova nell’impossibilità di rincrescersi di grandi tragedie per il solo fatto che, dalla nostra minuscola prospettiva, ci ha portato qualcosa di buono. Accanto ai drammi personali di Karenina e Gauguin, c’è il dilemma del borghese il cui progetto fondante implica un mondo segnato da profonde diseguaglianze sociali, dove la povertà di grandi masse, di intere nazioni, è la base e il prezzo del successo di pochi. Per Wallace gli agenti ordinari non sono disposti a rinnegare enormità quali la distruzione di un intero popolo, la più ingiusta distribuzione delle ricchezze, il terremoto che ha squassato l’intera penisola se questi eventi sono stati l’occasione per loro di ritrovare una ragione di vita, una passione trascinante, una causa alla quale sacrificare volentieri le proprie energie, il fondamento rassicurante della loro esistenza. Queste situazioni paradossali non sono rarità che fanno la loro comparsa solo nella casistica immaginifica del filosofo. Sono, anzi, casi paradigmatici della condizione umana, ciò che fa disperare in qualsiasi ideale di integrità morale, psicologica e metafisica. «La nostra condanna – dice Wallace – è che siamo implicati in strutture sociali e storiche che ereditiamo in virtù del nostro attaccamento alla vita e alle cose che danno significato». La nostra ambizione di vivere con integrità e pienezza, in armonia con il mondo sociale di cui facciamo parte, è dunque inevitabilmente frustrata. Quest’amara conclusione si pone in netto contrasto con i modelli classici di razionalità pratica. Al contrario dei filosofi che sottoscrivono ideali di integrità morale e psicologica, Wallace ritiene che sia proprio il nostro rapporto con il passato a far emergere in tutta la sua gravità l’assurdità della condizione umana e quindi l’impraticabilità degli ideali di coerenza. Qualificandosi come un nichilista moderato, Wallace considera l’attaccamento emotivo come l’unico sostegno che abbiamo per orientarci in un mondo dagli orizzonti incerti.
Carla Bagnoli, Domenicale – Il Sole 24 Ore 10/8/2014