Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  agosto 10 Domenica calendario

SULCIS, ENERGIA PULITA AL POSTO DEL CARBONE

SULCIS (SARDEGNA).
Il Sulcis cambia. Addio al carbone, attorno al quale il fascismo dell’autarchia costruì una città mineraria di 50mila abitanti in un angolo spopolato di Sardegna. Quando negli anni 30 i mercati erano protezionistici e l’Italia era assediata dalle sanzioni internazionali per l’occupazione dell’Etiopia, quel carbone era una risorsa. Oggi estrarre una tonnellata di carbone di bassa qualità del Sulcis costa circa 200 euro, e quella tonnellata vale sui mercati meno di 70 dollari, una cinquantina di euro. Da 60 anni quella miniera estrae più passività che carbone. Una miniera di debiti. Per mantenere lo stipendio fino alla pensione della nobile casta operaia dei minatori nel bacino elettorale e carbonifero del Sulcis finora i soldi sono stati prelevati dalle tasche degli italiani e la Regione Sardegna finanzierà un piano di chiusura fino al 2027.
La miniera della Carbosulcis, 100% della Regione, chiuderà la produzione nel 2018. Al posto dei minatori arriveranno i ricercatori della Sotacarbo. Una società mista con quote paritetiche fra Enea e Regione Sardegna che studia tecnologie per ridurre le emissioni prodotte dai combustibili. Sperimenterà centrali elettriche a bassissimo impatto ambientale che non emetteranno anidride carbonica. Venerdì a Roma è stata firmata l’intesa (prevista dal Piano Sulcis) tra Mise, Regione Sardegna, Enea e Sotacarbo. L’intesa prevede il finanziamento di un programma decennale di attività di ricerca per complessivi 30 milioni .
Il giacimento è enorme. Senza fine. A 500 metri di profondità giacciono dieci strati di carbone alternati a roccia, alti ciascuno tre o quattro metri ed estesi per chilometri e chilometri. I sondaggi geologici si sono limitati alla terraferma, accertando riserve per 500 milioni di tonnellate. «Stimiamo che ci siano almeno due o tre miliardi di tonnellate di carbone, e in un secolo di scavo ne abbiamo estratti forse il 2%», spiega Paolo Podda, direttore della miniera.
Dal ’96 a oggi sono stati estratti 1,6 milioni di tonnellate (negli anni 30 questa quantità si estraeva in un anno). Ma con il carbone povero, una lignite solforosa che il mercato rifiuta o accetta a prezzi da svendita, si estraggono perdite: 42 milioni di euro nell’anno più produttivo di minerale e di passività. C’è un solo cliente, l’Enel, la cui centrale di Portoscuso per accordi deve assorbire tutta la produzione delle miniere (e miscelarne il carbone solforoso con più economico e pulito carbone d’importazione).
Nei 30 chilometri di gallerie, sui 440 dipendenti della Carbosulcis, lavora un’ottantina di minatori: svolgono lavori di manutenzione agli impianti.
Il presidente della Carbosulcis è Luigi Zucca, commercialista. «Il breakeven è con una produzione di 700mila-800mila tonnellate l’anno. Il record è stato nel 2012 con 302mila tonnellate estratte, siamo ben lontani dal pareggio», osserva Zucca. La chiusura programmata prevede pensionamenti e prepensionamenti. Poi dal 2019 al 2027 bisognerà mantenere una parte dei dipendenti per il risanamento ambientale delle zone minerarie. «Dobbiamo creare i presupposti per generare una cultura industriale nuova».
Mussolini dittatore di un’Italia povera di materie prime con la nascita dell’Acai (Azienda carboni italiani) sviluppò gli unici due giacimenti della Nazione: Arsia in Istra e il Sulcis in Sardegna. I 3mila abitanti del Sulcis divennero 50mila attorno alle miniere di Serbarìu, Seruci, Nuraxi Figus. Architetti metafisici come Gustavo Pulitzer, Cesare Valle o Eugenio Montuori progettarono spettacolari città che fanno sfigurare per modernità tante realizzazioni di oggi. Finita la guerra, i bilanci della miniera sono subito esplosi in un mare di passività pagate dai cittadini italiani.
La Sotacarbo ha sede nell’antica laveria della miniera di Seruci dove una volta il carbone veniva ripulito dai detriti. Vi lavorano 20 dipendenti e 12 contrattisti, fra ingegneri, geologi e chimici; un’altra ventina di scienziati e tecnici servono per il progetto dell’ossicombustione. La Sotacarbo ha sviluppato due impianti di gassificazione, uno da 5 megawatt termici e l’altro che separa l’anidride carbonica dall’idrogeno, a valle del quale c’è un piccolo generatore elettrico. Alla fine, resta zolfo purissimo per l’industria chimica. «Vogliamo realizzare un centro di ricerca di eccellenza internazionale, cominciando con la realizzazione di un primo impianto di ossicombustione da 50 megawatt», spiega Mario Porcu, ingegnere, presidente della Sotacarbo. «L’obiettivo è creare una filiera italiana e un polo tecnologico strategico per il Paese. Non possiamo perdere la corsa internazionale delle tecnologie ambientali, soprattutto in un momento in cui sappiamo che il nostro Paese dispone di tecnologie capaci di trattare carboni di ogni tipo, anche poverissimi, con la possibilità di separare e bloccare a basso costo la CO2 senza alcun problema per l’ambiente e per i cittadini. L’ossicombustione potrebbe essere la rivincita del Sulcis-dopo-il-carbone».
Jacopo Giliberto, Il Sole 24 Ore 10/8/2014