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 2014  agosto 10 Domenica calendario

IL RACKET DEGLI ABITI USATI LE MANI DELLA CAMORRA SUL RICICLAGGIO DELL’AMA

Gli investigatori la chiamano la camorra degli stracci. È uno degli affari meno noti portato avanti dalla criminalità organizzata, che riesce a trasformare indumenti usati in milioni di euro, imponendo la legge mafiosa alle ditte sane. Un sistema che si sta manifestando anche nel Lazio e che ha spinto l’Antimafia di Roma ad aprire un’inchiesta, cercando di far luce su quanto accaduto alle aziende che si occupano per conto dell’Ama della raccolta e della commercializzazione dei vecchi abiti. Troppe le intimidazioni, le aggressioni, gli incendi. Un’indagine partita dopo quattro arresti compiuti in provincia di Latina a metà giugno, tra cui quelli di due ex collaboratori di giustizia. Il giro d’affari legato alla raccolta degli indumenti usati è notevole e a Prato ha portato i clan a commettere anche un omicidio. A cercare di trasformare stracci in oro sono soprattutto gruppi camorristici di Ercolano. Nel Lazio il fenomeno è venuto alla luce dopo la denuncia presentata ai carabinieri di Cisterna da un imprenditore Alfonso Bano lido, che nel centro pontino lavora in una ditta di stoccaggio di vestiti usati gestita dalla moglie. «Confermo – racconta l’imprenditore – mi sono rivolto ai carabinieri. Sapevo della pericolosità delle persone che si erano presentate da me». L’imprenditore 32enne di origini campane riferì di acquistare abiti usati da una delle cooperative che lavora- per l’Ama. Disse che quella coop, in precedenza, vendeva abiti a una società di Ferentino, di cui era socio Pietro Cozzolino, pregiudicato di Ercolano, da tempo stabilitosi a Roma, coinvolto in traffici di droga e armi, ex pentito.
Quest’ultimo, insieme al fratello Simone, è stato al centro di indagini per corruzione di poliziotti, ha fatto compiere numerosi arresti, ottenuto notevoli sconti sulle pene, ma fatto anche tante dichiarazioni rivelatesi fasulle, da quelle contro l’ex capo della squadra mobile di Napoli, Sossio Costanzo, a quelle sull’esplosivo che sarebbe stato contenuto in alcune valigette, per fare un attentato a Totò Riina, perso durante il disastro aereo di Ustica.
L’imprenditore del riciclo degli abiti disse ai carabinieri di aver subito estorsioni da Cozzolino, che voleva costringerlo a cedere abiti a ditte campane da lui ritenute non affidabili, e di essere stato costretto a pagare per evitare guai peggiori. All’ennesimo appuntamento per la consegna del denaro, si presentarono i carabinieri e arrestarono i due fratelli Cozzolino e i nipoti dei due, Vincenzo Cozzolino e Vincenzo Scava.
I militari iniziarono poi a convocare i responsabili di alcune coop romane che gestiscono la raccolta di abiti usati e avrebbero così ricevuto conferme su estorsioni subite anche da due cooperative. Una terza coop, che non voleva vendere abiti a Cozzolino, sarebbe stata inoltre vittima di strani incendi. L’Antimafia ha aperto un’inchiesta su quegli ex pentiti fuori controllo e, tra le ipotesi che gli inquirenti stanno vagliando, c’è quella che i clan, tramite una società impegnata nella raccolta rifiuti, sempre a Roma, stessero cercando di infiltrarsi negli appalti dell’Ama.
Clemente Pistilli, Roma – la Repubblica 10/8/2014