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 2014  agosto 10 Domenica calendario

DAL KURDISTAN ALLE CHIESE DI MOSUL L’ONDA NERA CHE TRAVOLGE L’IRAQ

BEIRUT
Fino a quando Barack Obama non ha deciso di mobilitare l’aviazione americana contro l’armata del Califfo al Bagdadi, quella dei miliziani dell’Is (Stato Islamico dell’Iraq e del Levante, oggi rinominato semplicemente Stato Islamico) è stata una travolgente avanzata d’altri tempi. Un mese dopo l’altro, una battaglia dopo l’altra, i jihadisti agli ordine del Califfo hanno prima conquistato un terzo della Siria, sottomettendo o costringendo gli avversari ad integrarsi nelle loro fila, poi, negli ultimi due mesi, hanno issato le loro bandiere nere su una larga porzione del nord dell’Iraq, praticamente senza combattere o quasi, costringendo i potenziali nemici alla fuga soltanto grazie al terrore suscitato dalle loro gesta, come un’orda barbarica d’epoca medievale.
L’avventura bellica dell’Is e del suo condottiero comincia nella Siria dilaniata dalla guerra civile, la quale che offre alla formazione jihadista lo spunto strategico per avviare la conquista. In Siria opera sul terreno un gruppo radicale molto organizzato che rivendica uno stretto legame ideologico, politico e militare con al Qaeda. Si chiama Jabat al Nusra, e lentamente, ma inesorabilmente, s’è imposto su tutta la galassia (oltre mille formazioni) che combatte contro il regime di Assad. Al Bagdadi intuisce che al Nusra è un concorrente pericoloso e gli lancia contro un ultimatum: o si fonde con lo Stato Islamico o sarà la guerra. Il leader di Al Qaeda, l’egiziano al Zawahiri, prova a mediare. Fallisce. Migliaia di combattenti di al Nusra confluiscono nelle fila dell’Is.
L’obiettivo militare è l’est siriano, Idlib, Raqqa, su cui viene imposta la più stretta osservanza della sharia, la legge islamica, e ancora più a oriente, Deir az Zor, quasi al confine con l’Iraq. Le milizie jihadiste se ne appropriano senza incontrare forte resistenza mettendo le mani sui campi petroliferi siriani che non sono granché, rispetto a quello che c’è nella regione, ma permettevano alla Siria un’autonomia energetica. Siamo alla fine del 2013. L’Is è il nuovo fenomeno che irrompe sulla scena di un Medio Oriente sconvolto dalla rivolta araba ma ormai prigioniero del riflusso verso nuovi regimi autoritari, come in Egitto, vecchie e consunte teocrazie, come l’Arabia Saudita, o caotiche e sanguinose guerre civili come in Siria e in Libia. Al Bagdadi lancia l’offensiva sul fronte iracheno. Agli inizi di giugno attacca Tikrit, la città natale di Saddam Hussein, capitale della provincia di Salah ad Din. Debole resistenza e vittoria squillante. Poi punta su Mosul, la seconda città dell’Iraq. Le due divisioni agli ordini di al Maliki che avrebbero dovuto difendere l’importantissimo centro si liquefanno come neve al sole. Pare che alcuni ufficiali di fede sunnita, come di fede sunnita sono i miliziani dell’Is, si siano rifiutati di sparare contro i propri correligionari. Centinaia di prigionieri vengono passati per le armi.
Ora le avanguardie del nuovo Califfo dell’Islam sono a 80-90 chilometri da Bagdad. Si teme l’assalto finale, la spallata. Le autorità religiose sciite comandano la mobilitazione di tutti gli sciiti in grado di tenere un fucile fra le mani. Donne, anziani. A migliaia accorrono nei centri di addestramento.
Invece, l’armata dell’Is piega a nord-Ovest. Punta sulla fetta più importante della torta petrolifera irachena: il Kurdistan, la ricchissima regione autonoma che, dopo l’esecuzione di Saddam, rappresenta la cosa più vicina ad uno Stato indipendente che la minoranza curda abbia mai avuto. Tutti pensavano che i mitici Peshmerga, i guerriglieri che avevano reso inviolabili le montagne del Kurdistan, avrebbero dato filo da torcere ai miliziani del- l’Is. Invece anche loro sono costretti a ritirarsi e l’armata jihadista, una vera e propria brigata internazionale in cui confluiscono giovani provenienti dalle più disparate fucine dell’islamismo radicale, dalle periferie inglesi, francesi e americane, alla Tunisia, dalla Libia alla Cecenia, tutti uniti dalla fede nella guerra santa, arriva a mezz’ora di macchina da Erbil, la capitale del Kurdistan autonomo, lasciandosi dietro una scia di terrore.
Non si sa se le chiese di Mosul siano state distrutte, o soltanto dissacrate, o trasformate in stalle per i cavalli, come ai tempi del feroce Saladino. Si sa però che centomila cristiani sono fuggiti da quella che rappresenta la culla della cristianità orientale. L’ultimo sito storico a cadere è stato Qarakosh.
Ma non soltanto i cristiani sono, e si sentono, minacciati. Anche la minoranza degli Yazidi, una fede basata su una fusione tra islamismo e zoroastrismo, è costretta a fuggire sulle montagne appena le bandiere del nuovo califfo spuntano alle porte di Sinijar. È a questo punto che Obama ordina all’aviazione americana d’intervenire. L’aspetto paradossale della storia è che i caccia americani stanno bombardando gli armamenti di fabbricazione americana generosamente donate al governo di al Maliki e finite nelle mani dei jihadisti, come bottino di guerra.
Alberto Stabile, la Repubblica 10/8/2014