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 2014  agosto 08 Venerdì calendario

IL MATEMATICO PAZZO. MA PER LE DISCOTECHE

[Intervista a Edward Frenkel] –
Io non sono pazzo» è la prima cosa che ci dice Edward Frenkel, matematico russo diventato visiting professor a Harvard a 21 anni e oggi, a 46, docente dell’Università della California di Berkeley. Piuttosto lontano dagli stereotipi della sua professione, Frenkel ama la musica house e trance, passa le estati nelle discoteche di Ibiza e gira video artistici che mescolano matematica e teatro giapponese kabuki. Nel frattempo si concentra però anche sul Programma di Langlands, teoria unificatrice della matematica, di cui è uno dei massimi esponenti. Tutto questo ora lo racconta in Amore e matematica. Il cuore della realtà nascosta (Codice Edizioni).
Professor Frenkel, chiaro che lei non è pazzo, ma perché sente il bisogno di dirlo?
«Colpa del cinema, che dipinge noi matematici come persone con grosse difficoltà di socializzazione, spesso sull’orlo della malattia mentale. Anche gli artisti, è vero, sono dipinti spesso come dei pazzoidi, ma c’è una differenza. Nel loro caso si parte dalla pazzia per arrivare, attraverso la creatività e l’espressione, al successo. Invece il matematico è mostrato come una persona condotta alla pazzia proprio dal suo studio. E questo stigma non contribuisce certo a invogliare la gente ad avvicinarsi alla matematica».
In effetti tanti dicono «odio la matematica», quasi vantandosene. Nessuno direbbe invece «odio l’arte».
«La colpa di questo però è anche di noi matematici e del modo in cui la nostra materia, tranne meritorie eccezioni, viene insegnata. Pensiamo a una scuola di pittura dove ti spiegano per tutto il tempo solo come imbiancare una parete e non ti fanno vedere i quadri dei grandi maestri. Naturale che poi chi ha imparato la matematica in questo modo finisca per dire che la odia. Ciò che vuole dire davvero è l’equivalente di “odio imbiancare le pareti”. Inoltre, anche se i critici d’arte sono pochi, chiunque conosce i grandi maestri della pittura, tutti sanno cos’è la Gioconda, e così via. In altre parole, tutti saprebbero che cosa fare e dove andare un giorno che decidessero di approfondire le loro conoscenze artistiche. Per la matematica non è così. La maggior parte delle persone non sanno chi sono i grandi maestri della matematica né che cosa hanno fatto. E non sanno neppure a chi rivolgersi per approfondire».
Ma, per dirla con Socrate, sappiamo almeno di non sapere?
«Purtroppo no. Per usare una fortunata frase dell’ex segretario della Difesa Donald Rumsfeld, ci sono cose che sappiamo di sapere, per esempio il teorema di Pitagora. Ce ne sono altre che sappiamo di non sapere, per esempio quello che pensa il nostro cane. Ma esiste una categoria ancora più sfuggente: le cose che non sappiamo di non sapere. Per molti la matematica è una di queste».
E che cosa ci perdiamo?
«Darwin scrisse: “Rimpiango profondamente di non aver studiato la matematica: quando vedo i matematici, mi sembra che abbiano un senso in più”. E non è solo questione di percezione: nella matematica c’è qualcosa di eterno e divino, che mette i brividi. Prendiamo il teorema di Pitagora: per Pitagora, 2.500 anni fa, significava la stessa cosa che significa per noi oggi e che significherà tra 2.500 anni per i nostri posteri, indipendentemente da come sarà cambiato il mondo: quello che rende la matematica unica è che le sue verità sono oggettive, necessarie ed eterne. Se Tolstoj non fosse mai nato, Guerra e pace non sarebbe mai stato scritto. Se invece non ci fosse stato Pitagora, qualcuno altro avrebbe scoperto il teorema che prende il suo nome, identico a come è. A volte penso che le idee della matematica esistano indipendentemente sia dal mondo fisico che dalla nostra coscienza. È un pensiero che rende il matematico quasi un mistico».
Un mistico come quello del suo video pluripremiato Riti d’amore e di matematica?
«Lì, ispirandomi al film Rito d’amore e di morte dello scrittore Yukio Mishima, interpreto un matematico che scopre la formula dell’amore ma, rendendosi subito conto del potere che ha, cerca di nasconderla per evitare che cada nelle mani sbagliate. La tatua però sul corpo della sua amata, che simboleggia la Verità. La matematica è verità. Il grande matematico, logico e filosofo Kurt Gödel disse: “I concetti matematici formano una realtà oggettiva per conto loro, e non possiamo crearla o cambiarla, ma solo percepirla e descriverla”. La consistenza e la “inevitabilità” della matematica la rendono una scienza molto speciale».
Parlando di inevitabilità, lei è riuscito a coronare il suo sogno di diventare un matematico nonostante grandi avversità...
«Mio padre è ebreo e mia madre è russa. Quindi io tecnicamente non sarei né russo né ebreo, perché si è russi se si ha il padre russo e si è ebrei se si ha la madre ebrea. Comunque nel 1984 l’Università di Mosca mi ritenne abbastanza ebreo da volermi discriminare. A sedici anni, pur essendo molto più preparato dello studente medio, feci il test di ammissione ma venni bocciato in un esame farsa: i due commissari speciali, dopo aver contestato ogni mia risposta, ottenuta la mia rinuncia sospirarono di sollievo e si lasciarono scappare che ammiravano la mia preparazione. Mi consigliarono l’università Kerosinka, perché lì, mi dissero, “accettavano quelli come me”. La frequentai e, grazie ai matematici che conobbi lì, pubblicai uno studio importante sulle simmetrie che attirò l’interesse di Harvard. Così andai in America a ventun anni. Il primo ricordo? I tre quarti d’ora passati per cercare il sale in un enorme supermercato di Boston».
Torniamo alla matematica: non è solo un’idea platonica, separata dalla realtà, ma anche uno strumento per incidere su di questa, no?
«Altroché. Con la stampa a 3D la nostra realtà e la nostra economia si trasformeranno radicalmente: presto potremo convertire a piacimento l’informazione digitale in materia. La matematica, come sistema per organizzare le informazioni, guiderà tutti questi processi e sarà ancora più cruciale di oggi nel cambiare la nostra realtà».
A proposito della nostra realtà, lei ha fatto scalpore quando ha suggerito, sul New York Times, che potremmo vivere in una simulazione alla Matrix.
«L’inevitabilità della matematica, a cui accennavo prima, rende questa ipotesi meno folle di quanto si possa credere. Se vivessimo in una simulazione, l’immutabilità delle leggi matematiche sarebbe facilmente spiegata: sarebbero inscritte nel “codice sorgente” usato per programmare la nostra simulazione. Per il filosofo Nick Bostrom, anzi, è più probabile che siamo in una simulazione piuttosto che al di fuori di essa».
Giuliano Aluffi, il Venerdì di Repubblica 8/8/2014