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 2014  agosto 08 Venerdì calendario

L’IMBATTIBILE

Istanbul. «Ma come si fa a battere Erdog˘an?». Lo sguardo rivolto alla spianata di cemento che assedia il parco Gezi, salvo dopo una lunga battaglia a suon di lacrimogeni e ricorsi in tribunale, Mustafa Arslan non sa più cosa rispondersi. All’indomani del suo ennesimo trionfo alle amministrative del 30 marzo, primo test elettorale dopo la repressione nel sangue delle proteste di piazza Taksim e la Tangentopoli del Bosforo che a fine dicembre ha travolto il suo governo, la Turchia che aveva invaso le piazze contro il sultano sembra smarrita. Del parco simbolo della ribellione resta l’immagine di un’enclave che affonda tra gru e polizia. Lì, Mustafa continua a ritrovarsi insieme agli altri attivisti della Taksim Gezi Parkı Derneg˘i, l’associazione creata dagli ecologisti di Istanbul per difenderlo. Un anno di manifestazioni schiacciate dalla reazione muscolare del governo ne ha fiaccato la resistenza meno dei risultati nelle urne. Il successo del partito Akp di Erdog˘an con il 44 per cento dei voti, in ascesa anche rispetto alle precedenti amministrative, ha tagliato le gambe a chi l’aveva sfidato. «Noi andiamo avanti con la nostra battaglia: studenti, professionisti e gente comune continuano a scendere in piazza – racconta Mustafa – Ma per battere Erdog˘an, serve un cambiamento dei partiti di opposizione».
Prostrata da otto sconfitte di fila nelle urne e marginalizzata da un governo monocolore in sella ormai da dodici anni, l’opposizione turca ha deciso di provarci attaccando il premier sul suo terreno: quello della religione. Il 10 agosto, a sfidare Erdog˘an per la poltrona di presidente della Repubblica nelle prime elezioni a suffragio universale diretto ci sarà Ekmeleddin Ihsanog˘lu, per un decennio alla guida dell’Organizzazione della cooperazione islamica, massima istituzione internazionale della politica musulmana. Una candidatura in grado di mettere insieme i laici del Chp, eredi della tradizione kemalista di Atatürk, e i nazionalisti di destra del Mhp, figli della stagione estremista dei lupi grigi. Sul suo nome, che pure ha fortissime connotazioni religiose – in ottomano, Ekmeleddin richiama la perfezione della fede – le principali forze di alternativa, finora avversarie in parlamento, hanno trovato una saldatura di necessità. Perché la nuova strategia elettorale anti-Erdog˘an, che punta a pescare al centro, sa tanto di ultima spiaggia.
Educato all’università al-Azhar del Cairo, tempio dell’accademia islamica, Ihsanog˘lu scommette sui voti di liberali e conservatori delusi dalla svolta autoritaria del premier, convinto che il resto dell’elettorato di opposizione lo sosterrà pur di abbattere il sultano. Ma i nodi interni sembrano già venuti al pettine – due terzi dei votanti laici del Chp, dicono i sondaggi, non lo vorrebbero come presidente – e il candidato moderato pare esserlo fin troppo per spaventare un avversario abituato a campagne elettorali costellate di colpi bassi. Poco conosciuto in patria, il 70enne Ihsanog˘lu rischia di pagare il suo profilo ecumenico da diplomatico di carriera, privo del carisma necessario per sfondare in un voto così polarizzato. Del resto, già nei mesi scorsi era finito nel mirino delle critiche per non aver condannato abbastanza la deposizione in Egitto del leader dei Fratelli Musulmani Mohamed Morsi. Così il vero obiettivo sembra già diventato quello di costringere l’attuale premier sotto la soglia del 50 per cento, per giocarsi tutto due settimane dopo al ballottaggio. Ma i sondaggi, ancora una volta, dicono Erdog˘an. Tanto più che in un eventuale secondo turno potrebbe farsi forte anche dei voti del terzo incomodo Selahattin Demirtas¸, leader del Hdp e candidato di riferimento dei curdi, cui ancora una volta ha promesso la pace nella regione sudorientale della Turchia, dove sono in maggioranza. La posta in palio, del resto, sembra essere l’assetto istituzionale del Paese. Perché se il ruolo di capo dello Stato resta al momento soprattutto di rappresentanza, Erdog˘an ha già promesso un’interpretazione ben più muscolare del ruolo: «Non sarò un presidente imparziale. Una nuova Costituzione è tra le nostre priorità».
Lo scontro sarà anche sui simboli. A partire dal velo: sette anni fa, per far varcare a una donna con il capo coperto le soglie del palazzo presidenziale di Çankaya si rischiò un colpo di Stato. Oggi, quindi, la scelta riguarderà non poco anche la first lady che prenderà il posto di Hayrunnisa Gül, moglie dell’attuale presidente Abdullah, che il prossimo anno potrebbe sostituire Erdog˘an alla guida del governo in una staffetta sul modello russo di Putin-Medveded. Chi sarà dunque la nuova première dame di Ankara? La velata Emine Erdog˘an o la signora Füsun Ihsanog˘lu con i suoi capelli rossi, mostrati non a caso in un elegante ritratto elettorale di famiglia? Per non parlare dei simboli elettorali: tanto per ricordare chi è l’uomo forte dell’islam politico in Turchia, l’attuale premier ha deciso di far sormontare il suo nome da un semicerchio che evoca quello di Maometto in caratteri arabi.
«Il primo obiettivo è quello di sconfiggere Erdog˘an – dice Bülent Müftüog˘lu, attivista della prima ora a piazza Taksim – Ma quello che è mancato finora è un leader forte, in grado di rappresentare i turchi che non si riconoscono nel governo». Presentando la sua candidatura, Ihsanog˘lu ha provato a conquistare anche loro: «I giovani che erano al parco Gezi il primo giorno sono dei veri patrioti». Ma oggi, guardando le camionette della polizia che scorrono continue intorno ai chioschi immersi nel verde, l’assemblea dell’associazione di piazza Taksim si scioglie con poca fiducia nelle urne. Come già alle ultime amministrative, quando pesanti furono le accuse di brogli elettorali soprattutto ad Ankara, nel mirino sono le scarse tutele assicurate all’opposizione. In un Paese che negli ultimi anni è precipitato in tutte le graduatorie sulla libertà di stampa fino a diventare quello con più giornalisti in prigione, e che oggi per Reporters sans Frontières si colloca al 154esimo posto su 180 nel mondo, la par condicio tra i candidati è praticamente inesistente. Per dire: tra il 4 e il 6 luglio, all’indomani dell’ufficializzazione delle candidature, sull’emittente tv di Stato Trt il premier è apparso per quasi nove ore, mentre gli altri candidati messi insieme hanno raggiunto appena i quattro minuti. Un dato frutto anche delle mancate dimissioni da primo ministro del candidato presidente Erdog˘an, che nel cambiamento in senso presidenzialista della Costituzione vede già il suo obiettivo dichiarato: la guida della Turchia nel 2023, centenario della fondazione della Repubblica. E poi ancora ci sono il bavaglio a internet, con Twitter e YouTube a lungo vietati agli utenti turchi, e i pesanti scontri con la magistratura, che nei mesi scorsi ha sfiorato lo stesso Erdog˘an indagando su presunte tangenti milionarie finite in mano a suo figlio Bilal.
Nel frattempo, il premier ha sbaragliato anche gli avversari giunti per la prima volta dalla sua area politica con il volto del magnate e imam Fethullah Gülen, accusato di essere il mandante occulto delle inchieste giudiziarie. La grande coalizione dell’opposizione potrebbe quindi non bastare, aprendo la strada a un’ulteriore svolta reazionaria nella società turca. Dopo la stretta sulla vendita e il consumo di alcol, con forti limitazioni nelle ore notturne e divieti in campus universitari e manifestazioni culturali, e la condanna della promiscuità negli appartamenti studenteschi, l’ultima crociata del premier riguarda i tatuaggi, simbolo per lui dell’egemonia culturale occidentale. Così, parlando già da capo dello Stato, Erdog˘an avverte: «Interverrò con tutte le mie risorse e la mia autorità».
Cristoforo Spinella, il Venerdì di Repubblica 8/8/2014