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 2014  agosto 08 Venerdì calendario

L’ULTIMA COPIA DELL’UNITÀ E I MILITANTI DI NON SI SA PIÙ CHE CAUSA

«Ce l’hai l’Unità?», chiedo sperando e temendo la risposta. «Finito», mi risponde l’edicolante guardandomi come si guarda uno che ci ha provato sapendo che gli sarebbe andata male. Bene, la parte l’abbiamo recitata entrambi al nostro meglio. Io mi sono messo momentaneamente a posto la coscienza tentando l’acquisto di prodotto considerato desueto (il giornale). Nell’ultimo giorno di pubblicazione della storica testata ho chiesto la mia storica copia, tardivo atto di militanza al servizio di non so più bene quale causa. Lui, garante e vestale del prodotto desueto di cui sopra, nell’ultimo giorno in cui poteva vendere un giornale che non credo ami particolarmente, mi ha guardato torvo come a dire «so boni tutti a comprà l’Unità oggi che chiude. E gli altri giorni? Perché non l’hai comprato gli altri giorni? Eh?».
Non lo so, non ho una risposta definita. Colpa mia, dei tempi, o di chi ha gestito il giornale fondato da Antonio Gramsci? Io e l’Unità ci ritroviamo aridamente giustapposti, inconsapevoli parti del mercato, domanda e offerta oltre le nostre volontà, entrambi alla ricerca di un ideale che fu. Però, ridurre a una mera questione di microeconomia il mio rapporto col giornale sul quale ho imparato a leggere, mi fa sentire in colpa. L’Unità, per me, è sempre stato motivo di orgoglio e vanto. Da quando i miei mi portavano in età prescolastica a fare la «diffusione» del giornale suonando alle case di chi era iscritto al Pci (cosa che mi divertiva oltre ogni immaginazione), a quando, giovane adolescente iscritto alla Fgci, ostentavo il nome della testata piegando il giornale affinché si leggesse solo quella.
Io ero l’Unità. Chi ce l’aveva in tasca aveva una visione del mondo, o perlomeno stava cercando di farsene una partendo da quella testata. E lo faceva sapere agli altri. L’Unità in tasca era un like quotidianamente condiviso. Anticaglie, nostalgie e ricordi che sanno di vecchio, buoni per essere derisi come antico arnese incapace di comprendere il turbinio dei tempi che cambiano, corrono e tutto rottamano. Forse è davvero questo ciò che siamo diventati, sia io che l’Unità, più io dell’Unità. E però ricostruire un’identità a sinistra è la sfida più difficile degli ultimi anni. L’approdo affidabile di un giornale o di un sito (o di più di uno), di un luogo dell’intelletto, della formazione e dell’informazione cui fare riferimento a sinistra resta necessario, senza contrapporsi allo spauracchio dei social network. Che non sono il male o il nemico dei quotidiani, quanto, piuttosto e spesso, il moltiplicatore di contenuti e idee. Ad averne, ovviamente. Mercato ce n’è.
Diego Bianchi, il Venerdì di Repubblica 8/8/2014