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 2014  agosto 11 Lunedì calendario

SANTO SUBITO: BASTA LASCIARE IL «GIORNALE»


E così, come abbiamo appreso ieri da questo e da altri quotidiani, dopo Salvatore Conoscente, per lungo tempo capocronista del Corriere della Sera, se n’è andato anche Federico Orlando che fu condirettore del Giornale (regnante Indro Montanelli) all’inizio degli anni Novanta. Passano i lustri, quasi un quarto di secolo, e anche i giornalisti di qualche rilievo muoiono. Nonostante le apparenze, sono uomini pure loro e a un certo punto, volenti o nolenti, sono costretti a togliere il disturbo. Di solito in pochi ricordano ciò che essi hanno fatto. Ma noi colleghi anziani abbiamo buona memoria e, quando accade l’irreparabile, non riusciamo a stare zitti, a far finta che non sia successo niente.
Orlando non fu una figura secondaria in redazione, nonostante avesse sempre ricoperto un ruolo secondario. Stranezze di questo nostro mestiere in declino se non in via di estinzione, attaccato dai media moderni, roba ipertecnologica. Federico non mi fu mai completamente antipatico per due motivi: a un certo punto della sua esistenza si accodò ai liberali (un merito non da poco in un periodo dominato dalla sinistra pseudorivoluzionaria); inoltre nacque in provincia di Campobasso, ovvero nelle Terre del Sacramento (romanzo di Francesco Jovine, naturalmente comunista, ma bravo), con le quali ebbi un forte legame da ragazzo. Ma io ero antipatico a lui per un motivo semplice: nel gennaio del 1994 rimpiazzai Montanelli alla guida del Giornale, e Maurizio Belpietro sostituì lui quale factotum.
Si dà il caso che Indro e Federico non si limitarono a sloggiare da via Negri 4: fondarono La Voce, nuovo foglio che nelle loro intenzioni (sarebbe meglio dire ambizioni) avrebbe dovuto uccidere Il Giornale nel giro di pochi mesi, rubandogli i lettori. Accadde l’esatto contrario: fummo noi, indicati come morituri, a stecchire loro, i Fenomeni, in un annetto. La storia di Davide e Golia è ciclica e in forme diverse si ripete spesso. Ciò non significa che Montanelli e Orlando fossero due cretini, per carità. Ma è un fatto che furono costretti a soccombere e ad abbassare la saracinesca perché avevano voltato le spalle ai montanelliani e questi seguirono noi in quantità impressionante, consentendoci di raddoppiare le copie vendute. Come mai? Credo di saperlo. Continuammo a fare un prodotto politicamente coerente con la tradizionale linea del Giornale, mentre Montanelli, in odio a Silvio Berlusconi, consapevolmente o no, sterzò andandosi a collocare nell’alveo di una generica e conformistica sinistra. Chiedo scusa per la semplificazione, ma in fondo di questo si tratta.
Occorre aggiungere che il fautore del descritto stravolgimento fu proprio Federico che su Indro, ormai invecchiato, aveva un forte ascendente e in redazione imponeva i propri orientamenti sbagliati. Perché sbagliati? In quegli anni erano in atto mutamenti epocali: la Lega cresceva a vista d’occhio, Mani pulite spopolava, Forza Italia nasceva e si sviluppava velocemente. Di tutto ciò Orlando non si accorse. Rimase fedele, tignosamente fedele, agli insegnamenti di Mariotto Segni, che sembrava vincente dopo l’affermazione referendaria. Editorialmente fu un errore grave. Che La Voce commise, noi no. Di qui l’esito a nostro favore della partita.
Quanto a Montanelli, data la sua età, non gli si poteva rimproverare granché. D’altronde lui stesso ammetteva di non avere voglia di fare il direttore a tempo pieno. Attenuanti vanno concesse anche a Orlando. Dal 1990 al 1995 accadde di tutto in Italia e non era facile scegliere la strada giornalisticamente più conveniente. Egli avrebbe potuto almeno evitare di esporsi come invece fece, scrivendo un libro dal titolo eloquente: Il sabato andavamo ad Arcore. Mi domando che ci andasse a fare. A prendere ordini? O cos’altro? Nel mio piccolo, al sabato andavo all’osteria e il Cavaliere non mi ha mai rotto le balle. Dopo di che, non essendo tonto, ho cercato di salvare capra e cavoli, esattamente come fanno tutti i direttori. Quello della Stampa, per esempio, non ha mai scritto che le automobili Fiat sono bare a rotelle, altrimenti oltre che libero avrebbe rivelato di essere deficiente.
Orlando è stato lodato da defunto quale uomo tutto di un pezzo, che non ha mai cambiato visione. Non avrà cambiato visione - diamogliene pure atto - ma ha cambiato partito ogni volta che era di cattivo umore: da Segni alla Margherita, dal Pd ai radicali. Lo comprendiamo, ma non ne farei un campione di rigore.
È deceduto alla soglia dell’ottantaseiesimo anno di età. E questo ci conforta: non è stato soffocato dalla balia. Ha lavorato fino al 5 agosto. Se non gli invidiamo la vita professionale, gli invidiamo la morte che lo ha sorpreso vivo.