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 2014  agosto 11 Lunedì calendario

AREE A RISCHIO DA GELA A OLBIA SONO 140 MILA I POSTI IN PERICOLO


LA CRISI
ROMA Altro che uscita dal tunnel. L’Italia che produce non «cambia verso»: tavoli di crisi a tempo indeterminato al ministero dello Sviluppo, cassa integrazione che lievita, posti di lavoro a rischio crescente. Al Mise le vertenze tuttora aperte sono 152, i dipendenti coinvolti 147.420, quelli che potrebbero essere tagliati fuori 136.616, circa 13.000 in più rispetto al 2013.
Allarme rosso che le cifre ufficiali tuttavia non riescono a mettere a fuoco nei dettagli perché nel computo, elaborato dalla Cisl, non rientrano i grandi gruppi e perché il dicastero guidato da Federica Guidi non riesce a gestire più di 150 «situazioni di crisi» all’anno. Mettersi in coda, prego. Gli uomini del Mise e quelli del sindacato vanno al massimo che però è sempre troppo poco rispetto alle emergenze del Paese. «L’affollamento ai tavoli di funzionari dei ministeri, delle Regioni, delle Province, degli enti locali - denuncia Luigi Sbarra, segretario confederale per le Politiche del lavoro della Cisl - frena le procedure amministrative». Anche nelle stanze di via Molise la Burocrazia si fa sentire. Eccome.
Secondo l’Osservatorio del dicastero, che oltre ai tavoli negoziali prende in considerazione anche tutti i decreti Cigs in scadenza nel 2014, le «situazioni di crisi» nell’industria sono in verità più di 800, alle quali vanno aggiunte 400 nel settore dei servizi. Insomma, quei 152 tavoli ministeriali sono lì a segnalare soltanto la punta dell’icerberg. Le vertenze più delicate a Termini Imerese (1.300 lavoratori ex Fiat), alla Lucchini di Piombino e Trieste (2.800), all’Ast di Terni (2.850), all’Alcoa (900), all’Euroalluminia (500), alla Carbosulcis (500) in Sardegna.
BAGNOLI E TERMINI IMERESE

Non a caso il premier, Matteo Renzi, ha già messo in agenda tra agosto e settembre un intenso roadshow su e giù per la penisola per toccare con mano le principali vertenze. Il 14 agosto sarà quindi a Bagnoli, dove tra l’altro è in gioco il delicato ridisegno dell’area flegrea della città. Un passaggio da affiancare a Coroglio, Scampia e Pompei. Poi il trasferimento tra Reggio Calabria, dove c’è il nodo risorse per la cassa integrazione e la mobilità, e Gioia Tauro. Per arrivare subito dopo a Termini Imerese. Del resto, pare che in occasione della sua missione in Oriente, il premier abbia avviato contatti con una casa automobilistica cinese, legata alla Bmw, che potrebbe essere interessata a investire, a Termini. In agenda Gela, alle prese con il destino del petrolchimico Eni. Poi Taranto per il nodo Ilva. Piombino alle prese con le acciaierie Lucchini e non solo. Ma tra le promesse da mantenere c’è un altro polo della siderurgia, Terni, con la Tk-Ast. Naturalmente anche il Sulcis, dove in prima tra le altre c’è la vicenda Alcoa, e poi, l’Aquila, Olbia e Reggio Emilia. I quasi 140.000 lavoratori a rischio per il 2014 rientrano nei settori dell’industria in generale e delle costruzioni. Oggi sono in cassa integrazione, anticamera della mobilità, che spesso a sua volta si trasforma in sala di attesa del licenziamento. Erano 123.130 nel 2013, mentre sfioravano le 144.000 unità nel 2012, annus horribilis per l’economia. Il rapporto Cisl dice che l’emergenza 2014 è concentrata per il 49,9% nel metalmeccanico (quasi 56.000 posti) e per il 7,3% nelle costruzioni (10.000 posti). In «sofferenza assoluta», comunque al primo posto tra le regioni, è la Lombardia con una quota del 23,4% degli addetti totali all’industria e 32 ricorsi al ministero dello Sviluppo. La Lombardia cumula il 24,5% delle ore di cassa integrazione e il Piemonte il 9,4% degli addetti e l’11,3% delle ore. Ventidue i ricorsi di Veneto e Lazio, seguiti dalla Campania con 17, il Piemonte con 14 e la Puglia con 13. I comparti più in affanno sono quelli dei componenti elettrici, elettronica e microelettronica (9 aziende per circa 23.000 dipendenti), degli elettrodomestici e relativi componenti (8 aziende per 18.000 lavoratori), dell’automotive (15 aziende per 11.000 lavoratori), della siderurgia (6 aziende per 11.200 lavoratori), dell’Ict (10 aziende per 9.500 lavoratori). Sulle maggiori spese di produzione gravano in particolar modo il costo del lavoro e quello per l’approvvigionamento di energia.
ILVA E DINTORNI
Qualche esempio emblematico: all’Ilva 1.700 lavoratori sono in contratto di solidarietà in attesa dell’applicazione dell’Aia del piano industriale; all’Ast di Terni 2.850 operai entrano ed escono dalla cassa integrazione a seconda dell’andamento de mercato; all’Electrolux decisi altri 500 esuberi che si vanno ad aggiungere ai 1.000 fissati da precedenti accordi; all’Alcatel la cassa integrazione è vecchia di anni; all’Ansaldo sono a rischio 2.000 addetti negli stabilimenti di Pistoia, Pomigliano, Reggio Calabria, Palermo; l’Irisbus ha chiuso nel 2011 e dopo la cassa in deroga aspetta novità proprio al Mise; alla Marcegaglia Buildtech di Taranto è stata annunciata la cessazione dell’attività. La task force del ministero dello Sviluppo è attiva dal 2008. In quasi sei anni in via Molise sono approdate circa 700 situazioni di crisi.