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 2014  agosto 11 Lunedì calendario

GRENOT: «SÌ, SONO CAMBIATA E SENTO CHE SUCCEDERÀ QUALCOSA DI BUONO»

[Intervista a Libania Grenot] –

Nei 400 agli Europei da protagonista. «Mai stata così bene» Piccole pantere crescono. Nell’Italia baby che ieri è sbarcata a Zurigo, Panterita vola. «A me, a 31 anni, il soprannome piace ancora: hai notato l’eleganza di quel felino quando corre?». Libania Grenot tiene casa a Ostia («Un bell’appartamento dove non sto mai...») ma, soprattutto, sul giro di pista: «Santiago di Cuba, ho 9 anni. I miei mi portano al campo. Prova i 400 metri, mi dicono. Io corro, scalza, sotto il sole a picco. Un minuto e 12’’. Amore a prima vista. Con i 400 non ci siamo più lasciati». È lei, la nuova Libania — spigliata, leader continentale con 50’’55 — la faccia dell’Italia che all’Europeo punta all’oro.
Panterita, che succede?
«Tante cose. Ho imparato a correre i 400 fino in fondo. Ho cambiato testa».
Merito di uno psicologo?
«No, è il mio coach, Loren Seagrave, che si occupa di tutto. Mi segue nel modo giusto: mi stimola in pista e distrae fuori. Mai stata così bene».
Cambiamento visibile. Come lo riassumerebbe?
«Prima ero chiusa in me stessa. Gare e allenamento, non vedevo altro. Loren mi ha portata fuori. In barca sul Danubio, per i musei di Vienna. Parliamo. Sto con lui da due anni. Mi fido».
A Zurigo per stupire?
«Di medaglie non parlo mai. Però ho una pace interiore incredibile, sono serena, felice della mia energia. Arrivarci è stata una lunga strada».
Parliamone. È ancora sposata?
«Grazie che me lo chiede: leggo inesattezze. Mi sono sposata a Casal Palocco nel 2006, sono italiana dal 2008, ho divorziato 5 anni fa. Innamorata? Noooooo! Amo l’atletica. Ora non c’è posto per nient’altro nel mio cuore».
Che rapporto ha con Cuba, la sua terra?
«Non ci torno da due anni. Là ho mio padre e altri parenti. In Italia ci sono mia madre e mio fratello, che fa il commesso in via del Corso a Roma».
Nasce a Cuba, si trasferisce in Italia, si allena in Florida da Seagrave. Casa dov’è?
«L’atletica mi ha portato a essere cittadina del mondo. A Rio 2016 ci arrivo eccome: questa vita mi piace».
Il bilancio fin qui?
«Sport durissimo, di sacrificio, ma oggi sono più brava a godermi ciò che ho. A Zurigo sarò al top. Io da questo mondo devo prendere ancora tantissimo. Senza i 400, senza il corpo che urla al risveglio, non so immaginarmi».
L’italiana più attesa all’Europeo.
«In finale mi giocherò tutto. Voglio dimostrare a me stessa quanto valgo: mi è stato dato in dono il talento e sento che a Zurigo può succedere qualcosa di buono...».
Che idoli aveva da bambina?
«Mai avuti idoli. Ero una ragazzina con la passione per il ballo: la salsa me la porto nel sangue. Senza atletica non so cosa sarei».
Cosa ama fare, oltre i 400 metri?
«Lunghe passeggiate sul lungomare di Ostia: respiro l’aria, come a Cuba. Cucinare un risotto con le verdure o un pesce al forno. Leggere».
Un genere in particolare?
«La biografia di Bolt mi ha colpita molto. È nato con la scoliosi ma da quando ha cominciato a credere in se stesso non si è più fermato. È questa la chiave del salto di qualità. Nella sua storia mi identifico».
Se incontrasse Bolt cosa gli direbbe?
«Che sui blocchi vorrei essere concentrata come lui. Conservo la foto che facemmo insieme a Pechino 2008. Ai meeting ci salutiamo: sa chi sono».
Potrebbe saperlo tutta Europa.
«Sono pronta. Devono solo darmi il mio numero e la mia corsia».
Nel futuro dove si vede?
«Io mi considero una globetrotter ma l’Italia mi ha dato tanto, e non dimentico. Mi ha aperto le braccia, mi ha regalato l’esperienza olimpica. Io l’Italia non la lascerò mai».
Si sente sulle spalle il peso dell’Italia dell’atletica che prova a diventare grande?
«L’atletica italiana non sta morendo. A Zurigo ci sono tanti giovani che possono crescere bene. Sarà un Europeo importante, pieno di sorprese».
Per via del doping che ha decimato la Russia?
«Io credo nella giustizia, credo in Dio. I controlli ci sono. Barare non è leale nei confronti di chi si allena duramente».
Cosa significa correre per lei?
«Volare, in un deserto. Sola e leggera. Come a Rovereto dove ho chiuso in 50’’55. La corsa è naturale: un atto liberatorio che nasce nel cuore».
Ha portato a Zurigo un portafortuna?
«Solo le mie due bellissime bambine, le mie gemelle. Le mie gambe.