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 2014  agosto 11 Lunedì calendario

«TRUCCO LE MACCHINE PER FARE LA SFOGLIA»

«Sa, la mia compagna non è carnivora» dice il signor Giovanni aggiungendo al brodo un altro cucchiaio di fegatini. Da quanto state insieme? «Mah, una ventina d’anni». Cosa mangiate? «Verdure, pasta, pesce. Carne poca». Come l’ha conquistata? «È lei che ha conquistato me». E la tiene a stecchetto? Altri fegatini di pollo: «Io a stecchetto? Impossibile». Quanto pesa? «Venti chili più del dovuto: 110. Sedici anni fa erano cento: mi portò al ristorante guidando una Ferrari Testa Rossa… Eh eh, altri tempi, altro sangue. Adesso ho il sangue del nonno. Con i miei nipoti faccio discorsi incredibili. Cucinano per me. Maria Sole, 11 anni, i dolci. Nanni, 19, i primi». Passione di famiglia. Che scuola fa Giovanni? «Deve cominciare l’università Itaca, a New York, scienze dell’alimentazione. Le piacciono queste tagliatelle in brodo? Tipica ricetta veneta. Sarebbe da inverno, ma con questo tempo…». Con questo tempo anche il secondo è tassativo: bollito misto con la Pearà. «Stasera però mangio solo una mela. O una fetta d’anguria». Il suo cibo preferito? «Ah, il risotto. Anche i tortellini. Ma dalle nostre parti, bassa veronese, erano un piatto della festa. Son cresciuto con le tagliatelle della mamma, bigoli, risi e bisi». Lei cucina? «Una volta: sempre primi, pasta al forno in tutti i modi. Adesso mi sono impigrito». Il pasto principale? «Pranzo. Di sera frutta. Faccio anche gli assaggi in azienda. Ieri per esempio gnocchi, i nuovi tipi partono a settembre. Assaggio anche i concorrenti, per forza. Ma faccio 40 minuti di piscina ogni sera. Sa, con il mio nome... Ho costruito prima la piscina, poi la casa. E poi tutt’intorno l’azienda». L’ultima volta che ha visto un medico? «Pochi mesi fa, check-up nel Wisconsin. Esami a posto. Ho detto al dottore: con me avete poco lavoro».
Mezzogiorno nuvoloso al ristorante Gelmini, sotto un enorme gelso. «Dopo la guerra questa era una baracchetta, ci venivano i miei fratelli. La signora Bianca è ai fornelli dal 1956». A Ca’ di David, frazione di Verona sud, i fratelli del signor Giovanni (come lo chiaman tutti) avevano aperto un forno. Lui, ultimo di sei, portava in giro il pane. Cosa è successo dopo, lo racconta lui stesso nelle università: Giovanni Rana è diventato la faccia e il sinonimo della pasta fresca in Italia e nel mondo. Partendo da un Guzzino e da una stalla. «Ho imparato da un vecchio pastaio di Bovolone, un certo Zanca. Poi ho chiesto un locale al papà della mia fidanzata e lui mi ha dato una stalla. Con un amico muratore l’abbiamo rimessa a posto e siamo partiti: tortellini con la carne, poi ricotta. Ai tempi era un prodotto innovativo: devo ringraziare l’emancipazione femminile. Le consegne con il motorino, l’ha visto all’entrata dell’azienda? È quello originale: con il vento contro, me tocava cambià marcia».
Oggi l’azienda di San Giovanni Lupatoto ha oltre 600 dipendenti, 30% immigrati, cinque stabilimenti nel Nord Italia, uno a Chicago. Al timone lui e Gian Luca, il figlio: «Devo ringraziarlo, la nostra avanzata all’estero è merito suo. Era il mio sogno: sbarcare in America».
Il signor Giovanni, 76 anni, non va in vacanza più di 7 giorni. A fine agosto l’ha invitato un cliente in Sardegna, «tutto pagato». Gli piacciono le sagre di paese. È appena stato a quella del Pan Moio, non lontano da qui, a Ronca’. «È la storia di quando c’era poco da mangiare: poareti, fasevano un pane poco lievitato, duro, lo mettevano in questo brodo, un po’ di cipolla, un po’ d’olio sì e no». Come è andata alla sagra? «Mi aspettavano come il Papa. Mi son seduto su una panchina, mi e un altro, e la panchina s’è ribaltata. Ho detto, calma ragazzi, non abbiamo ancora cominciato a bere». Appunto, cosa si beve? Con le finissime tagliatelle fatte in casa un bianco Soave, Valpolicella con il bollito misto: lingua, cotechino e manzo con la Pearà, la tipica salsa veronese.
Dove pranza di solito? «A casa. Passo dallo stabilimento. Mi piace l’atmosfera, quella che chiamo la musica del muletto». Come cambia il gusto degli italiani? «Guardi, noi facciamo trecento ricette. Il cambio è continuo. Adesso vogliono l’agrodolce, il curry, le verdure, pochi grassi, più salutismo». La ricetta che va di più? «Mah, forse gli Sfogliavelo al prosciutto crudo». Quando torna in tv? «Nuovi spot a settembre». Top-secret? «Pensi che io che sono il protagonista non so niente. Al marketing hanno paura che spifferi tutto». Facile dirigere l’azienda in tandem con un figlio? «Me lo chiedono molti colleghi, preoccupati: “Ma voi andate d’accordo?”, mi dicono. La mia risposta classica? Che “io vado d’accordo con mio figlio”. Non noi. Capito? Siamo noi padri che dobbiamo essere un po’ psicologi».
Non bisogna essere psicologi per capire che questa torta di mele accompagnata da un bicchiere di Recioto è buonissima. «Il segreto? Dico solo che per un etto di farina c’è un chilo di ottime mele» dice la cuoca Bianca. E la ricetta per uscire dallo stallo italiano? Il signor Giovanni sospira: «Secondo me bisogna che scalemo una marcia tutti. Ma è fatica». Scaliamo in che senso? «Negli anni Sessanta avevamo bisogno di tutto: scarpe, jeans, tortellini. Adesso abbiamo tutto e dobbiamo perfezionare tutto. Lo dico ai ragazzi: voi dovete essere super-specializzati». Con una marcia in meno? «Nel senso che ormai non si possono più fare le otto ore al giorno, bisogna farne cinque ma tirar fuori il meglio». Certo «abituarsi a vivere con un tenore inferiore è dura. Si fa fatica a rinunciare».
Il primo segreto della pasta fresca? «Solo materie prime di alta qualità». Per farla in casa? «Più fine è la sfoglia, che deve essere sottile ma elastica, più gusti il ripieno». Voi come fate? «Modifichiamo le macchine impastatrici per ottenere il massimo della bontà». Come truccare il motore di un’auto? «Come fare un’Abarth». La signora Bianca però usa il mattarello. «Io davanti al mattarello, specie nelle mani di una donna, mi inchino sempre».
A proposito di cibo ed eros: un piatto per conquistare l’amato o l’amata? «Risotto alla mantovana, con il pilaf e la pasta di salame. Infallibile. E da bere lambrusco di Sorbara».