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 2014  agosto 10 Domenica calendario

WILL MCAVOY, «THE NEWSROOM»


I grandi film sul giornalismo sono commedie, a parte Quarto potere e L’uomo che uccise Liberty Valance . Ci sarà un motivo! Pensiamo soprattutto a The Front Page , la commedia scritta per il teatro da Ben Hecht nel 1928 e da cui sono stati tratti almeno tre film: The Front Page di Lewis Milestone, uscito nel 1931; His Girl Friday (La signora del venerdì ) di Howard Hawks, uscito nel 1940; The Front Page (Prima pagina ) di Billy Wilder, uscito nel 1974. Lasciamo alla giornalista Hildy Johnson, interpretata dalla splendida Rosalind Russell nel film di Hawks, spiegare al suo capo ed ex marito Walter Burns (Cary Grant) i motivi della sua avversione al mestiere: «Giornalista? Che cosa vuol dire? Origliare alle porte, correre dietro ai pompieri, svegliare la gente di notte per chiedergli che cosa pensa di Hitler o del delitto della sera prima? La so a memoria ormai tutta questa roba: siamo solo un branco di disperati alla caccia di ignobili avvenimenti di cronaca nera da ammannire alle casalinghe e alle dattilografe».
A differenza di Hildy, Will McAvoy, il protagonista di The Newsroom , la serie firmata dallo sceneggiatore e produttore Aaron Sorkin, si prende molto sul serio e forse questo è il suo problema principale. Will è il carismatico anchorman alla guida di «News Night», un immaginario programma serale di approfondimento in onda sul fittizio canale via cavo americano Acn. Conduce il programma e ha la responsabilità editoriale sulla selezione e la confezione delle notizie, che prepara insieme a una squadra di reporter e producer (una figura cardine del giornalismo radio-televisivo anglosassone). Tutta la redazione, la newsroom appunto, è pervasa da un alto afflato ideale: ciascuno dei personaggi svolge il suo lavoro sempre ad altissimi livelli, senza mai cedere a compromessi o trasandatezze nell’inseguire e riportare le notizie; una forte autoriflessività sulla professione giornalistica, la sua etica, le sue sfide è continuamente coltivata da tutti protagonisti. Come già avvenuto in Sports Night , West Wing e Studio 60 , anche in Newsroom Sorkin vuole mostrare il «dietro le quinte», il retroscena, i meccanismi di lavoro e le relazioni che si intrecciano in quelle che negli Usa chiamano workplace family , famiglie nate sul posto di lavoro e basate su affinità elettive più forti dei legami di sangue.
La definizione che meglio inquadra il personaggio di Will la pronuncia lui stesso: «So che in certi momenti, brevi e rari momenti, non sono l’uomo più facile con cui lavorare, ma, d’altronde, chi diavolo lo è?». È vero, Will è un tipo irascibile, a tratti ha un caratteraccio e può non essere il più simpatico dei capi e dei colleghi (che spesso, preda del suo perfezionismo, maltratta, quasi sempre a ragione), ma di sicuro è uno che sa fare il suo mestiere. La sua palingenesi inizia dopo aver dato scandalo durante un dibattito pubblico alla Northwestern University: quando una studentessa lo invita ad argomentare sul perché gli Stati Uniti sono «il più grande Paese al mondo», lui lascia tutti di sasso elencando provocatoriamente i motivi per cui gli Usa hanno smesso da tempo di essere il più grande Paese del mondo. È una catarsi, l’inizio di un rinnovato slancio di amor proprio e al contempo una dichiarazione d’amore alla propria professione, che vuole idealisticamente liberare dal giogo commerciale degli ascolti, dalle richieste pressanti degli investitori pubblicitari e degli uffici marketing. Il video della sua «sparata» diventa presto virale e il responsabile delle news di Acn (che incarna la figura del vecchio saggio, sempre cruciale nei drammi tv di Sorkin) intuisce che Will è pronto per cambiare passo e dar vita a un nuovo progetto capace di restituire all’informazione televisiva un ruolo determinante nella formazione di opinioni libere e ponderate. «Civiltà, rispetto e ritorno a ciò che è veramente importante, la morte della cattiveria, del gossip e del voyeurismo. Dire la verità agli stupidi, niente più dolcezze democratiche»: queste le fondamenta su cui la redazione di «News Night» costruisce la sua piccola rivoluzione. Will è di dichiarate simpatie Grand Old Party (anche se pensa come un democratico, cioè come il suo inventore Sorkin, hanno maliziosamente rilevato negli Usa), ma pratica con convinzione un’«onesta parzialità», presentando le sue opinioni senza mai celare i punti di vista opposti.
Poiché nella scrittura di Sorkin, come lui stesso ha dichiarato, tutto è sempre in bilico tra la realtà e il soddisfacimento di una fantasia idealizzata, alla rigenerazione di Will e «News Night» non è estranea la figura di MacKenzie McHale, sua storica produttrice, sua «coscienza professionale» e, soprattutto, ex fidanzata che gli ha spezzato il cuore tempo addietro. Tra i due c’è ancora molto di personale: la loro attrazione irrisolta (anche se meno coinvolgente di analoghi legami raccontati in altre serie di Sorkin) è uno dei pilastri narrativi della serie, importante quanto le news.
Già, le news. Il rischio narrativo più importante che si prende la serie sta nella sua dimensione temporale, collocata nel passato recente che fa da sfondo a vicende e notizie ben conosciute, come il disastro della petroliera BP, la «primavera araba», l’ascesa del Tea Party e molti altri fatti che negli ultimi anni hanno dominato l’agenda americana e internazionale, su cui il pubblico ha già avuto modo di formarsi un’opinione. A «New Republic» Sorkin ha spiegato: «Le notizie servono come sfondo entro cui collochiamo le nostre storie. È una sorta di fiction storicizzata. Se c’è un valore drammaturgico, se può servire come base per lo scontro tra due idee diverse, o se possiamo collocare uno o più dei nostri personaggi in quell’evento realmente accaduto senza infrangerne il realismo, allora quella notizia ha la possibilità di entrare nelle puntate della serie». Questo non ha evitato che negli Stati Uniti The Newsroom si attirasse molte critiche negative, un po’ come era successo a Studio 60 , la serie di Sorkin cancellata dal canale Nbc dopo una sola stagione. Studio 60 raccontava la produzione di uno show televisivo simile al «Saturday Night Live». Il dibattito si trascina da allora: era una serie geniale e gli spettatori americani sono stati troppo ottusi per capirla oppure è stata incapace di parlare al pubblico ampio e popolare dei network? Sorkin, destando un certo stupore, si è recentemente assunto la responsabilità di quell’insuccesso: «Non l’ho scritta bene come avrei dovuto», ha confessato.
Con The Newsroom se la sono presa i giornalisti, leggendo nella serie un astratto e idealizzato trattato sulla professione, una sorta di lezioncina su come svolgere il proprio lavoro, sentendosi chiamati in causa soprattutto perché la serie si sofferma spesso su come gli organi d’informazione non abbiano coperto con l’adeguata accuratezza e imparzialità vicende importanti e recenti. In fondo, la questione è molto più semplice, come ha spiegato Guia Soncini: «Essendo un’opera di finzione e non un documentario (dettaglio che è parso sfuggire alla più parte dei recensori), le loro gesta sono più ideali, i loro finali sono più lieti, e le loro redazioni a più alto tasso di flirt di quanto possa accadere nella realtà». Di nuovo, Sorkin ha ammesso: «Penso di aver iniziato con il piede sbagliato e me ne scuso, vorrei provare a ricominciare daccapo»: in effetti la seconda stagione ha cambiato passo e smussato alcuni angoli, per esempio collocando i personaggi in evidente stato di difficoltà, togliendoli dal piedistallo dei perfetti giornalisti e facendo compiere loro alcuni errori professionali di cui devono assumersi le responsabilità.
Non solo si sono risentiti i giornalisti: tanto Will McAvoy giganteggia nella serie (in fondo, i difetti e i vizi gli sono tutti perdonati), quanto è poco lusinghiera la rappresentazione della maggior parte delle donne in redazione, spesso petulanti e molto irrisolte.
Il vero tema della serie è in fondo quello dell’onestà. In un lungo e teatrale monologo che apre in diretta il «nuovo corso» di «News Night», Will McAvoy chiede scusa al pubblico televisivo per gli errori commessi in passato, che hanno intaccato il «nobile» statuto dell’informazione: aver gonfiato alcune notizie mentre se ne sottovalutavano altre ben più importanti, aver ceduto alla sciatteria o, ancora peggio, alla parzialità. La responsabilità principale viene attribuita alla dittatura degli ascolti, ai condizionamenti imposti dall’editore del canale (Leona Lansing, interpretata con la giusta cattiveria da Jane Fonda), per tenersi buoni amici e nemici.
Negli Stati Uniti non esiste il Servizio pubblico come lo intendiamo in Europa, ma la serie riecheggia i nostri dibattiti sul decadimento dell’informazione a opera della tv commerciale. Ma davvero gli ascolti e la pubblicità sono il vero problema? O è possibile comunque garantire un’informazione di qualità, semplicemente facendo bene il proprio lavoro?
Ossessionata dal ruolo degli ascolti nell’informazione televisiva, The Newsroom non ha raccolto dati stellari: negli Usa si è collocata sotto la media del canale Hbo (in Italia su Raitre è andata anche peggio), tanto che il rinnovo per una terza stagione, attualmente in produzione, è stato a lungo incerto. Probabilmente la serie ha pagato lo scotto di un tema molto di nicchia, da «addetti ai lavori» (lo stesso Sorkin si è chiesto «ma importerà a qualcuno di questa media élite?») e un sovraccarico di teatralità negli scambi verbali. Come gli altri telefilm firmati da Sorkin, The Newsroom presenta una scrittura old style , molto diversa dalle tendenze principali della serialità televisiva contemporanea: dialoghi lunghi, velocissimi e complessi, la parola sempre a guidare l’azione. Memorabile la parodia che ne viene fatta nel video The Food Room , ambientato in un fast food, con Amy Schumer e Josh Charles (aveva lavorato con Sorkin in Sports Night ).
La velocità dei dialoghi di The Newsroom ha dei punti in comune con la grande tradizione americana della screwball comedy , ma a Sorkin sembra mancare la leggerezza della penna di Ben Hecht, dello sguardo di registi come Howard Hawks e Billy Wilder.

LA CITAZIONE –

«Buonasera a tutti. Sono Will McAvoy e questo è “News Night”. (...) Devo chiedere scusa al popolo americano per il nostro fallimento. Il fallimento
di questo programma, nel periodo in cui l’ho diretto io, per non aver informato e istruito adeguatamente l’elettorato americano. Voglio essere chiaro, non mi sto scusando a nome di tutti i giornalisti tv, e non tutti i giornalisti tv devono scusarsi. Parlo per me stesso. (...) Sono l’esponente di un’industria che ha falsato i risultati elettorali, ha gonfiato la minaccia terrorista, fomentato le controversie e ignorato i cambiamenti epocali in atto del nostro Paese. (...) La ragione di questo fallimento non è certo un mistero. Eravamo schiavi degli ascolti. (...) Da questo momento in poi decideremo cosa mandare in onda e come presentarlo partendo da una semplice verità: nulla in una democrazia è più importante di un elettorato ben informato. (...) Saremo i paladini dei fatti e i nemici giurati di ogni insinuazione, della speculazione, dell’iperbole e del controsenso. (...) Sono il redattore capo di “News Night” e prendo la decisione finale su tutto quello che vedete e ascoltate in questo programma. Vi chiederete chi siamo noi per prendere queste decisioni. Siamo l’élite dei media».
Stagione 1, episodio 3