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 2014  agosto 10 Domenica calendario

I 55 GIORNI DI BOSSETTI DIETRO LE SBARRE SENZA ABBASSARE GLI OCCHI


BERGAMO — Nella sua cella dalle pareti gialle ha l’essenziale: un letto, un tavolino e la televisione. Quello a cui tiene di più sono le foto della sua famiglia. Ai muri ha le immagini della Madonna e di Papa Giovanni che gli ha portato il cappellano del carcere, come il rosario che tiene al collo e il Vangelo. Cinquantacinque giorni di isolamento: il mondo di Massimo Giuseppe Bossetti è tutto qui da quando è finito in manette con l’accusa di aver ucciso Yara. Le uniche finestre del carpentiere di Mapello sull’esterno sono il sacerdote e il medico che vanno da lui tutti i giorni, i parenti che possono vederlo una volta a settimana, gli avvocati e, sembrerà un paradosso ma ci sta per chi è rinchiuso in una stanzetta di pochi metri quadrati, il magistrato che arriva per interrogarlo.
Gli interrogatori
Quando la pm Letizia Ruggeri lo tartassa di domande, Bossetti non abbassa lo sguardo. Punta gli occhi azzurri nei suoi mentre, come mercoledì scorso per tre ore, lei affonda un bisturi di interrogativi in tutte le pieghe della sua vita coniugale, anche quelle più intime. Amore, litigi, presunti tradimenti, sesso. Lui risponde. Se non capisce bene la domanda, chiede che gli venga ripetuta. L’interrogativo fondamentale a cui non dà risposta, però, è sempre lo stesso, cioè come il suo Dna sia finito sugli slip e sui leggings della vittima. Quello di quattro giorni fa è il quinto interrogatorio. Per due volte Bossetti aveva scelto il silenzio. Poi, davanti al gip, ha sollevato la chiusa del fiume di parole con cui ha riempito 67 pagine di verbale. Se fosse «l’uomo nero» stereotipo del male, metterebbe d’accordo tutti. Invece è il bergamasco medio che si spacca la schiena e si fa i calli alle mani nei cantieri. C’è il quadro che dipinge lui e c’è la ricostruzione degli inquirenti: il padre e marito amorevole contro l’uomo con un segreto inconfessabile.
La preghiera quotidiana
Quando don Fausto Resmini, cappellano del carcere da 22 anni, entra nella sua cella, Bossetti spegne il televisore. Non fa altro tutto il giorno: guardare la tv e leggere i giornali. Bossetti gli chiede di recitare il «pater», le preghiere del mattino e della sera a Dio, alla Madonna, ai santi e ai morti. Insieme leggono i passi del Vangelo. Non parlano delle indagini. «Il compito che mi è stato affidato è triplice — spiega il sacerdote —. Entrare in relazione con lui, per spezzare l’isolamento in cui si trova, perché tv e giornali non possono compensare la mancanza di rapporto umano. I nostri incontri servono anche ad evitare che cada in depressione. Inoltre c’è un aspetto più prettamente umano e religioso che lui stesso chiede».
Bossetti ha perso qualche chilo, ma non tanti da temere per la sua salute. È sempre solo, anche nell’ora d’aria. L’ha disposto il pm, per proteggerlo dagli altri detenuti che dalle celle gli hanno urlato insulti per fargli sentire il codice interno.
Gli avvocati e i famigliari
Silvia Gazzetti è l’avvocato che lo difende con il collega Claudio Salvagni. Va un giorno sì e uno no a fargli visita. Lui la accoglie con il sorriso: «Meno male che è arrivata», oppure «la aspettavo ieri, ma sono contento che sia qui oggi». Se gli sfugge una parola colorita, ripara al volo: «Mi scusi, avvocato». Le dà ancora del lei. Si presenta sempre in ordine, curato. «È riservato, restìo ad esprimere emozioni, come lo sono i bergamaschi in genere», lo descrive l’avvocatessa. L’ha visto sorridere, abbattuto, piangere. «Ma non si altera mai, nemmeno quando dice, e lo fa spesso, “ma che cosa ci faccio qui?”». La sua calma nel momento del fermo aveva colpito: «Fosse successo a me avrei urlato che ero innocente», un commento diffuso. «Ma questo è il suo carattere pacifico. Non significa che non stia male — ribatte l’avvocato —. Qualcuno si è chiesto perché non abbiamo presentato ricorso al Riesame contro la carcerazione. La risposta è che, a fronte del forte indizio del Dna, stiamo cercando elementi concreti su cui basare la richiesta».
Allora chi è Bossetti: l’uomo che dice di essere, oppure un bugiardo che risponde alle domande granitico perché sa di non essere stato visto rapire la bambina? Colpisce una coincidenza. L’ultima frase di Bossetti nelle 67 pagine di verbale è: «Fatemi pure tutte le domande che volete». Come la mamma Ester, che nell’intervista al Corriere della Sera ha voluto raccontare la sua vita senza mettere paletti: «Mi faccia pure tutte le domande che vuole».