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 2014  agosto 10 Domenica calendario

CENTRI NEL CAOS, MA C’È CHI VUOLE PARTIRE SUBITO


MILANO — Adesso il pericolo è il caos. Il decreto legge proposto dalla ministra Beatrice Lorenzin non è stato approvato, così sul via libera alla fecondazione eterologa dovrà esprimersi il Parlamento. Nel frattempo rischia di regnare la confusione più totale. È la convinzione ripetuta come un mantra da un ginecologo all’altro, molti ancora scottati dal lungo dibattito che ha portato alla pasticciata Legge 40.
Migliaia di coppie in attesa
Eppure i 348 centri italiani per la procreazione medicalmente assistita, pubblici e privati, sono tra i migliori al mondo. Tutti potenzialmente capaci di attrarre anche quel turismo sanitario che invece, al momento, va solo nella direzione opposta, con oltre 20 mila coppie italiane in fuga all’estero per poter fare la fecondazione eterologa (peraltro la meno complessa tra le varie tecniche anti-sterilità). Mentre almeno altre novemila coppie, spesso meno abbienti, aspettano per poterla fare in Italia. Il loro desiderio di averla gratuita e negli ospedali pubblici pare destinato a rimanere irrealizzato ancora a lungo. Anche se molti giuristi sono sicuri che la sentenza della Consulta sia sufficiente (in un contesto già normato da ciò che resta dalla Legge 40), il governo ha ribadito l’invito a tenere le bocce ferme. È impensabile, dunque, ipotizzare i rimborsi a carico del Servizio sanitario nazionale. Mancano gli stanziamenti e l’introduzione di questa voce tra i livelli di assistenza (Lea). È il motivo per cui l’eterologa gratuita appare lontana. A parte decisioni autonome regionali, come quella della Toscana. Di qui la posizione di standby dei centri pubblici. «Non ci resta che aspettare — ammette Eleonora Porcu, alla guida del Centro di infertilità e procreazione medicalmente assistita del Policlinico Sant’Orsola-Malpighi di Bologna —. Toscana a parte, tutte le strutture pubbliche al momento sono bloccate. In alto mare. E le fughe in avanti, in assenza di norme sulla tracciabilità e la selezione dei donatori, rischiano di essere controproducenti per i pazienti». Le fa eco Gian Mario Tiboni, docente dell’Università di Chieti-Pescara e responsabile del centro dell’ospedale Bernabeo di Ortona, l’unico pubblico attualmente funzionante in Abruzzo: «Riceviamo in questi giorni continue richieste da parte dei pazienti, che in genere sono donne con età superiore ai 40 anni, ma naturalmente restiamo in attesa di sapere cosa ci dirà in merito il ministero».
Il settore privato
In teoria per i centri privati muoversi potrebbe essere più semplice: le coppie pagano, non c’è la questione dei rimborsi del sistema sanitario, nessun inghippo burocratico a complicare il tutto. Ma davanti all’altolà del governo sono in pochi al momento quelli disposti a rischiare. C’è la paura di ritrovarsi ad avere a che fare con i carabinieri del Nas, attivati dal ministero della Salute proprio per controllare che non ci siano fughe in avanti. Anche alla casa di cura la Madonnina di Milano, con i medici Enrico Semprini e Alessandra Vucetich che ammettono di essere tecnicamente pronti a partire, c’è estrema prudenza: «Non vogliamo prendere nessuna iniziativa contraria alla legge — spiega l’amministratore delegato Andrea Mecenero —. Sul lungo periodo dovremo, comunque, decidere il da farsi: il rischio è di vederci surclassare da altri». Non c’è, infatti, nessuna regola. Ciascuno farà a suo modo. Tra le poche strutture che annunciano di voler partire a settembre, a meno che la Regione non metta sulla strada qualche nuovo ostacolo, c’è la Tecnobios procreazione di Bologna. Lì, in lista per la donazione di ovociti ci sono già 200 donne. Andrea Borini, presidente della Società italiana di fertilità e sterilità, specialista Tecnobios, è chiaro: «Ci baseremo sulle linee guida che le società scientifiche hanno consegnato al ministero e avvieremo le procedure cliniche per aiutare chi, come unica soluzione per avere un figlio, deve sottoporsi all’eterologa». Quanto bisognerà pagare? «Meno dell’omologa, penso sia corretta una cifra tra i 2.500 e i 3.000 euro, meno che all’estero e senza spese di viaggio e soggiorno», dice Borini. All’estero i costi vanno dai 20 mila dollari degli Stati Uniti (dove per legge il donatore dev’essere pagato almeno 3.500 dollari), ai 4.000 dei Paesi dell’Est. A metà strada la Spagna: 9.000 euro (ma i donatori si pagano al massimo mille euro).
Altro discorso ancora, per i centri privati accreditati. Sono quelli che possono operare con il servizio sanitario, ma hanno bisogno dell’autorizzazione ministeriale. In quanti, dunque, sono pronti a mettersi contro chi decide le convenzioni? Paolo Emanuele Levi Setti è a capo dell’Humanitas Fertility Center, conosciuto come primo centro ospedaliero italiano e fra i primi 10 in Europa per le tecniche di fertilità: «Sono triste per le coppie, ma non ci possiamo muovere senza avere certezze da Roma — sottolinea —. Saremo costretti a indirizzare le coppie verso strutture serie all’estero».
Le norme che non ci sono
Dal punto di vista normativo mancano il Registro nazionale dei donatori, le modalità di selezione e quelle per garantire l’anonimato, i limiti nelle donazioni, il range di età di chi dona, le regole sui rimborsi. Una cosa, però, è certa: dal punto di vista tecnico-scientifico i centri italiani sono pronti. Non servono attrezzature diverse da quelle già usate per la fecondazione omologa. Per il reperimento dei gameti — ossia gli ovociti e il seme in arrivo da un donatore esterno alla coppia — gli esperti hanno trovato l’éscamotage per averli subito a disposizione, senza bisogno della creazione di banche apposite (cosa che richiederebbe tempo): l’idea è di farli arrivare dai centri di procreazione medicalmente assistita attivi in Europa e, per non contravvenire il divieto di commercializzazione dei gameti, l’indicazione è di farli acquistare dalle coppie. L’altra ipotesi, valida per l’ovodonazione, è di chiedere il consenso alle donne che si sono già sottoposte all’omologa e che hanno ovuli congelati e inutilizzati. Elisabetta Coccia, presidente di Cecos Italia (che raggruppa le 22 maggiori strutture italiane private e convenzionate di procreazione assistita), sintetizza: «Siamo pronti e c’è chi la vuole fare indipendentemente dalla presenza di una legge. Ma al momento il dibattito è acceso anche al nostro interno, perché il messaggio di Lorenzin è stato chiaro: “Non possiamo partire”».
E chi lo fa, s’è detto, potrebbe avere il rischio dei controlli del Nas. Ma nell’Italia del caso Stamina e dei giudici del lavoro che sentenziano in nome della libertà di cura anche a favore di metodi dagli specialisti considerati «non scientifici», l’eterologa potrebbe essere anche ordinata dal Tribunale. È una tecnica scientificamente provata, attuata in quasi tutto il mondo, con alle spalle una sentenza della Consulta e una direttiva europea (ancora non recepita dall’Italia).