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 2014  agosto 10 Domenica calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - ANCORA SULL’IRAQ E GLI YAZIDI


BAGDAD - Lo Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (Isis) ha ucciso almeno 500 membri della comunità religiosa curdofona degli yazidi, alcuni ammassandoli in fosse comuni e seppellendoli vivi. La gravissima denuncia giunge dal ministro per i Diritti Umani iracheno, Mohammed Shia al-Sudani. Che afferma di avere le prove che si tratti di donne e bambini. E che circa 300 donne sono state sequestrate e tenute in condizioni di schiavitù. Secondo il portavoce dell’Unicef in Iraq, Karim Elkorany, almeno 56 bambini sono morti disidratati. Secondo alcune fonti, 300 famiglie dei villaggi di Koja, Hatimiya e Qaboshi, in tutto quattromila persone, sarebbero state circondate da miliziani, che minacciano di ucciderle se non si convertono all’Islam.

Sembra invece che siano riuscite ad aprirsi una via verso la salvezza 20.000 delle almeno 40.000 persone della minoranza yazida intrappolate da giorni sui monti di Sinjar, in Iraq, sotto la minaccia dei jihadisti. Avrebbero trovato riparo in Siria, per poi tornare sotto scorta curda nel territorio del Kurdistan iracheno. Lo riferisce l’Afp. Già ieri i combattenti curdi, i "peshmerga", avevano annunciato di aver aperto un primo corridoio come via di fuga. Secondo la deputata irachena Vian Dakhil, rappresentante della minoranza yazida, gli scampati sono almeno 20.000, mentre un responsabile curdo del valico di Fishkabur, nel nord dell’Iraq, ha indicato un numero fino a 30.000.

Le informazioni in mano al ministro al-Sudani sono state raccolte proprio attraverso le testimonianze di chi è riuscito a fuggire. "Abbiamo prove eclatanti ottenute da yazidi scappati da Sinjar e da altri scampati alla morte - ha spiegato alla Reuters -. E abbiamo immagini delle scene del crimine che mostrano senza possibilità di dubbio che le bande dell’Isis hanno giustiziato almeno 500 yazidi dopo aver preso d’assedio Sinjar".

SCHEDA / Yazidi a rischio sterminio di VINCENZO NIGRO

Durante l’Angelus, Papa Francesco è tornato sul dramma delle popolazioni del nord dell’Iraq in fuga dai guerriglieri fondamentalisti: "Ci lasciano increduli e sgomenti le notizie giunte dall’Iraq. Migliaia di persone, tra cui tanti cristiani, cacciati dalle loro case in maniera brutale. Bambini morti di sete e di fame durante la fuga. Donne sequestrate. Violenze di ogni tipo. Distruzione di patrimoni religiosi, storici e culturali". "Non si fa la guerra in nome di Dio! - ha gridato il Pontefice -. Ringrazio coloro che, con coraggio, stanno portando soccorso a questi fratelli e sorelle, e confido che una efficace soluzione politica a livello internazionale e locale possa fermare questi crimini e ristabilire il diritto".

Il Papa ha quindi ha annunciato di aver nominato il cardinale Fernando Filoni suo "inviato personale" in Iraq, "per meglio assicurare la mia vicinanza a quelle care popolazioni". Il cardinale, ha aggiunto Bergoglio, "domani partirà da Roma". "Noi tutti - ha poi concluso il Pontefice - pensando a questa situazione a questa gente, facciamo silenzio e preghiamo".

Nuovi raid aerei statunitensi in Iraq. Nel pomeriggio, il Comando Centrale degli Stati Uniti ha annunciato di aver condotto per tre ore e mezza la quarta tornata di raid aerei autorizzati dal presidente Obama contro i miliziani dell’Isis nei pressi di Erbil, capoluogo della regione autonoma dell’Iraq curdo, dove gli americano hanno un consolato e dove è localizzato il centro di coordinamento delle operazioni militari Usa-Iraq. Droni e caccia si sono alzati in volo per proteggere i "peshmerga", i combattenti curdi, che si stanno confrontando sul terreno con i jihadisti cercando di frenarne l’avanzata a nord. Gli attacchi, riferisce il Comando, hanno distrutto camion e posizioni di mortaio, i velivoli americani hanno lasciato l’area senza danni.

In precedenza, il Comando Centrale aveva dato notizia di altri quattro attacchi con caccia e droni contro blindati e camion da cui i miliziani dello Stato islamico facevano fuoco indiscriminatamente sui civili che hanno cercato scampo sulle montagne di Sinjar. Le forze americane e britanniche stanno anche lanciando aiuti alla popolazione yazida in fuga sulle montagne del nord-ovest.

Il vicepremier del governo regionale curdo, Qubad Talabani, ha dichiarato alla Cnn che i peshmerga hanno ripreso il controllo delle città di Makhmur e Gweyr, nella provincia di Mosul, a sessanta chilometri da Erbil, che i miliziani dell’Isis aveva preso mercoledì scorso. Fonti della sicurezza locale hanno aggiunto che le forze speciali provenienti da Bagdad, in coordinamento con i Peshmerga, sono attualmente dirette a sud di Erbil.

A Bagdad è intanto giunto anche il ministro degli Esteri francese Laurent Fabius, che dopo una serie di incontri con i vertici del governo iracheno si recherà anche ad Erbil e sovrintenderà alla consegna dei primi aiuti umanitari che Parigi ha destinato ai profughi. Il presidente della regione autonoma dell’Iraq curdo, Masoud Barzani, ha chiesto alla comunità internazionale di fornire ai peshmerga non solo aiuti, anche le armi con cui sostenere la battaglia contro l’Isis. "Perché non stiamo combattendo contro un’organizzazione terroristica - ha aggiunto Barzani -, ma contro uno Stato terrorista".

Mentre il ministro degli Esteri Federica Mogherini, parlando a RaiNews24, ha dichiarato: "Stiamo valutando in questi giorni altre iniziative che potranno riguardare anche il ministero della Difesa perché il punto è fermare l’avanzata di Isis". Ma "c’è bisogno di una mobilitazione internazionale", ha aggiunto Mogherini, per questo, l’Italia, ha chiesto che ci sia "al più presto" un Consiglio affari esteri dell’Unione europea dedicato alla crisi irachena.

La Ue ha successivamente condannato con una nota di Catherine Ashton, Alto Rappresentante per la politica estera europea, "le persecuzioni e violazioni dei diritti umani" da parte dell’Isis nel nord dell’Iraq "che possono essere considerate come crimini contro l’umanità" e sulle quali "bisogna indagare rapidamente".

Ma gli aiuti - tonnellate di viveri, acqua, tende ed altro - sono arrivati tardi per molti degli iracheni appartenenti alle minoranze religiose nel mirino degli estremisti sunniti che nelle ultime settimane hanno travolto le truppe governative addestrate ed equipaggiate dagli Stati Uniti e ora controllano buona parte del Paese. La tardiva e debole risposta delle autorità sciite di Bagdad ha fatto sì che le forze curde si ritrovassero da sole a dover fronteggiare l’avanzata dello Stato islamico.
Dalla caduta di Saddam all’Isis, così l’Iraq è tornato nel caos: le tappe
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A Bagdad, il presidente iracheno, Fuad Masum, ha minacciato oggi di sciogliere il Parlamento, uscito dalle elezioni del 30 aprile scorso, se non nominerà nei tempi più brevi un primo ministro che formi un governo per far fronte alla crisi nel Paese. Lo riferisce l’agenzia nazionale Nina, citando "una fonte politica". Gli Usa e diversi Paesi occidentali hanno chiesto all’Iraq di formare in tempi brevi un governo inclusivo delle forze sciite e sunnite.

In base ad accordi non scritti, la carica di primo ministro spetta a uno sciita, quella di presidente del Parlamento a un sunnita e quella di presidente della Repubblica a un curdo. Nonostante le ultime due cariche siano già state assegnate nelle ultime settimane, quella della guida del governo rimane vacante. Il premier uscente, Nuri al Maliki, insiste per essere nominato per un terzo mandato, ma la resistenza alla sua riconferma si va rafforzando sia in Iraq sia tra la comunità internazionale. Che vede nello sciita al Maliki l’artefice indiretto dell’offensiva dell’Isis con le sue politiche "confessionali", discriminatorie nei confronti dei sunniti, al punto da aver indotto parte di essi a simpatizzare con i jihadisti, almeno in un primo momento. Solo il 4 agosto scorso, il premier ha ordinato alle forze aeree irachene di agire a sostegno dei curdi peshmerga nella battaglia contro l’Isis a nord.

Su Twitter è intanto apparsa una serie di immagini in un profilo dedicato alla "rivoluzione sunnita" (@Sunna_Rev), scattate da sedicenti sostenitori dell’Isis negli Usa. Si tratta di foto che vedono in primo piano la bandiera nera della jihad e messaggi di minaccia agli Stati Uniti, come quello che segue, mentre sullo sfondo c’è anche la Casa Bianca. Come si legge nel foglietto, "siamo nel vostro Stato, siamo nelle vostre città, siamo nelle vostre strade. Siete il nostro bersaglio ovunque".

Parole che echeggiano la minaccia lanciata da un portavoce dello Stato Islamico al termine di un video diffuso due giorni fa da Vice Media. Dopo aver provocato gli Usa ("non siate vigliacchi attaccandoci con i droni, mandate i vostri soldati"), Abu Mosa concludeva: "Alzeremo la bandiera di Allah sulla Casa Bianca".