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 2014  agosto 08 Venerdì calendario

VOLONTARIATO INTERNAZIONALE UNA GALASSIA DI SIGLE E NOMI E TROPPI SONO FUORI CONTROLLO

Non è poi così difficile fare volontariato internazionale. Basta avere un gruppo di persone e costituire un’associazione. Alcune scartoffie, un commercialista in grado di dare i consigli giusti su come non sbagliare i passi da compiere, ma con cifre sostenibili da chiunque si può entrare nel grande mondo degli aiuti umanitari.
«In realtà basta anche molto meno, si può essere da soli. Anzi, paradossalmente, è persino preferibile se si deve entrare in modo illegale in un Paese», spiega Gianni Rufini, direttore di Amnesty International.
Diverso è se si vuole costituire una Ong e ottenere il riconoscimento di idoneità del Ministero degli Affari Esteri per accedere ai finanziamenti e ai progetti della Farnesina. In quel caso bisogna fornire - e soprattutto documentare - la competenza, l’esperienza, la trasparenza dei bilanci, l’indipendenza dell’organizzazione e il rispetto delle procedure internazionali. Ma solo un numero limitato dei nomi operativi nel settore vuole o può ottenere l’idoneità. Tutti gli altri - e sono la maggioranza - lavorano al di fuori dell’ombrello del Mae, fanno da soli, e ne sono anche felici.
Quanti sono? Non esistono statistiche, e non sarebbe possibile trattandosi di un settore totalmente al di fuori di ogni controllo. Si sa che ci sono circa 3mila cooperanti italiani ufficiali impegnati in progetti di aiuto umanitario. Si sa che ci sono circa 200 organizzazioni non governative considerate idonee dal Mae ma tutto il resto è un mare magnum di migliaia di nomi, sigle, che può essere quantificato in parte ricorrendo ai dati della Siscos, un ente senza finalità di lucro che fornisce servizi di assistenza e assicurazione al mondo della cooperazione. Nel 2013 ha assicurato 5816 persone. In percentuale leggermente superiore le donne (sono 2912 vale a dire il 50,7% e 2904 gli uomini, vale a dire il 49,3%) Se si aggiungono anche i 200 volontari in convenzione con il ministero degli Affari esteri si arriva ad una cifra di circa 6mila persone.
«Ai tempi della guerra nell’ex-Jugoslavia - ricorda Gianni Rufini - ci sono state decine di migliaia di operazioni di sostegno organizzate in modo del tutto improvvisato: qualunque ufficio, fabbrica, scuola, creava un gruppo di sostegno, raccoglieva generi di prima necessità, caricava un furgone e partiva. Si è poi intervenuti creando un Consorzio per coordinare questi gruppi. Oggi il fenomeno è un po’ calato ma esiste ed è del tutto inutile. Non serve fare i camionisti, e comunque è più utile servirsi di camionisti locali. Non serve questo tipo di aiuti che sono irrisori rispetto ai problemi locali e, in alcuni casi, rappresenta anche un insulto insegnare il primo soccorso in Paesi dove esistono medici esperti e perfettamente in grado di operare».
«Per fare assistenza umanitaria nel mondo - spiega Marco Rotelli, segretario generale di Intersos - sono necessarie competenze, formazione. Esistono protocolli complicati, ci vuole tempo per trasmetterli al personale e per assicurarsi che siano seguiti. Ma questo non vuol dire condannare le piccole organizzazioni fatte in casa, il loro lavoro è importante. E, comunque, nemmeno seguendo tutti i protocolli e essendo un’organizzazione strutturata si è esenti da rischi».
La verità è che da mesi nessun cooperante italiano è in Siria. «La nostra scelta - osserva Marco Guadagnino dei programmi internazionali di Save The Children - è di servirci solo di operatori locali perché hanno una migliore conoscenza del territorio e perché danno maggiore sostenibilità ed efficacia al progetto. Si tratta di personale che viene formato sul posto». «Chiunque può trovare un contatto locale ed attivare canali propri - spiega Nico Lotta presidente del Vis, Volontariato Internazionale per lo Sviluppo - È un fenomeno molto presente soprattutto tra le associazioni giovanili ed è senz’altro la testimonianza di una società civile che vuole impegnarsi per gli altri. Purtroppo a volte per affrontare alcuni rischi ci vuole tanta professionalità».
Flavia Amabile, La Stampa 8/8/2014