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 2014  agosto 08 Venerdì calendario

PAURE, SPERANZE E RABBIA “QUESTA È LA PORTA DELL’ITALIA”

A poche ore dall’inizio dell’era Etihad Fiumicino trattiene il fiato. All’orizzonte c’è lo tsunami minacciato dai ribelli dell’Alitalia ma anche, scherza un addetto alle pulizie, «il sol dell’avvenire». Sì, perché sia pur solidarizzando con chi a settembre perderà il posto i lavoratori dello scalo capitolino pensano soprattutto al proprio. E la speranza condivisa è che l’accordo con la danarosa compagnia degli Emirati si riveli un toccasana per l’intero esangue indotto aeroportuale.
«Si respira un ottimismo diffuso per lo sbarco degli arabi con la loro dote di rotte, pare già d’intravedere la risalita, nel mio settore abbiamo assunto 80 stagionali» commenta un uomo sui 50 passando lo straccio in uno dei nuovi bagni del Terminal 1. Il nome non vuole darlo. Anche il coetaneo assistent manager di Adr con l’orecchino si nega. Ma, a patto di restare anonimo, dice la sua: «L’Alitalia dovrebbe benedire Ethiad, almeno gli paga i “buffi”. Spero che a contratto chiuso i dipendenti rinsaviscano perché lo sciopero non serve neppure a loro. La gente è furiosa per il blocco dei bagagli e anche tutti noi vogliamo uscire dalla palude. Fiumicino ha bisogno del rilancio, a maggio abbiamo iniziato a cambiare i pavimenti e rifare le toilettes, non c’è tempo da perdere: questo scalo è la porta attraverso cui gli stranieri entrano in Italia, il nostro biglietto da visita».
Come biglietto da visita effettivamente non era granché. Il passato è un’apertura di credito dovuta perché i cartelli appesi ovunque raccontano il cantiere Fiumicino: Wi-Fi libero, 27 servizi igienici rinnovati e altri 13 pronti entro la fine del 2014, frecce ad indicare i punti di ricarica aggiunti per pc e cellulari, i carrelli un tempo a pagamento sono stati emancipati e resi gratis.
«I viaggiatori si erano abituati alla bolgia di Fiumicino e i carrelli provano quanto sarà dura cambiare, finché costavano 2 euro ce n’erano sempre sulla griglia ora che da un mese non costano nulla non li trovi più» ragiona un ragazzo al banco informazioni di Adr del Terminal 2. La collega con la pettorina gialla ha però un però: «Non posso essere ottimista ignorando chi sarà cacciato. Un mio amico lavora ai bagagli e mi ha spiegato che non stanno scioperando ma applicando alla lettera le regole per mostrare di essere a corto di forze altro che esuberi. L’accordo sacrifica loro, la plebe, per salvare gli uffici».
Qualcuno che al nome Etihad storca il naso in realtà c’è. Come lo steward che attraversa il Terminal 3 con poca voglia di fermarsi: «Non ho nulla contro la compagnia emiratina, il problema sono quelli che restano esclusi». Lui a occhio non è tra loro. Ma tra sommersi e salvati ci sono tutti gli altri a tifare perchè si decolli.
«Si parla di portare gli attuali 38 milioni di passeggeri l’anno a 55 milioni entro il 2020, una manna per i 400 mila lavoratori di Fiumicino considerando che ogni milione di passeggeri ha un ritorno sull’indotto di 700 milioni di euro» calcola un impiegato alle infrastrutture. Il barista di Roma Capitale scalda un tramezzino e gli dà man forte: «Da un anno la crisi è nera, i viaggiatori ci sono ma non consumano più d’un caffè e si portano il panino da casa». Poco distante, il commesso della deserta libreria Feltrinelli, e ancor meno metaforico: «Ho sentito che a febbraio si faranno i conti, in assenza di nuovi investimenti sullo scalo potremmo chiudere tutte le 4 librerie che abbiamo ancora a Fiumicino».
I passeggeri sciamano alternando il malumore al sorriso pre-ferie. Si parla di loro ma loro pensano ai ribelli oltre i check-in da cui dipende il trolley con le creme solari. «Capisco tutto ma anche io sono precaria e questa è la mia unica settimana di mare» lamenta la supplente Claudia in partenza per Lampedusa. Domani è un altro giorno? La tunisina Amina ben Amour affronta i controlli e ironizza: «Il futuro dipende dagli arabi? In bocca al lupo Italia».
Francesca Paci, La Stampa 8/8/2014