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 2014  agosto 08 Venerdì calendario

DOMINGO RE DI SALISBURGO: VIAGGIO NELL’ARTE ITALIANA


DAL NOSTRO INVIATO SALISBURGO — Il Trovatore , lo spettacolo più atteso al Festival di Salisburgo, sarà un viaggio virtuale nel mondo dell’arte. «Un’idea affascinante per l’opera più opera di Verdi, che si fa poco perché come diceva Caruso ci vogliono quattro grandi cantanti», racconta Placido Domingo. Al suo fianco Anna Netrebko: «Leonora è uno dei più bei ruoli per un soprano, è lirico, tragico, eroico». «Al Festival manca dal lontano 1963, quando lo diresse Karajan», ricorda il sovrintendente Alexander Pereira.
Debutta domani. Biglietti fino a 420 euro, ma è tutto esaurito da mesi, dirette e differite tv (in Italia il 15 agosto su Sky Classica). Sul podio Daniele Gatti, un cast straordinario con le due voci più importanti della lirica: Il Trovatore insieme l’avevano affrontato solo a Berlino, e Domingo (che canta come baritono il conte di Luna), tuttora lo considera una prima volta. Il regista, Alvis Hermanis, ha voluto rispettare le tre prospettive storiche: «La musica è scritta nell’800, la storia è ambientata nel ‘400, gli spettatori sono del XXI secolo. Così ho pensato a un viaggio virtuale in un museo. Ho fatto un’immersione a Brera e agli Uffizi». Arriva una comitiva di turisti, la Netrebko appare in divisa da custode, è sulla sedia, con gli occhiali e i tacchi bassi. Poi si alza, e mentre la guida racconta le storie delle tele (Raffaello, Leonardo, Michelangelo…), lei è come se riconoscesse nel suonatore di liuto dipinto da Giovanni Busi l’amato Manrico dell’opera (in scena è il tenore Francesco Meli), e diventa Leonora.
Tutto è tra realtà e sogno. «Un sogno che diventa un incubo», racconta Daniele Gatti, al suo primo Trovatore . L’amore impossibile nelle tenebre, la tragica parentela, la storia di un enigma non risolto di due bambini che nel tempo si odiano. Un’invenzione melodica straripante, un libretto ingestibile: «Qui — dice il direttore — il teatro è farraginoso ed essendo un amante di quello vero, Schiller e Shakespeare, me ne ero sempre tenuto lontano. Ma la musica è talmente chiara e toccante che risolve le incongruenze. A Salisburgo in questi anni avevo fatto Strauss, Wagner, Puccini. Mi mancava il quarto grande: Verdi. Abbiamo avuto questo cast unico e mi sono messo a studiare, tuttora vi trovo dei punti oscuri». Il Trovatore è l’opera più amata ma anche la più vilipesa dalle incrostazioni, dalle cattive abitudini… Gatti non è stato un talebano filologo, ha cercato di conciliare rigore e buon senso, eliminando certi vizi ruspanti: «Ho lavorato sull’edizione critica tratta dal manoscritto originale, senza perdere di vista la versione corrente, frutto di un’esperienza e di una tradizione che risale all’edizione Ricordi del primo ‘900. Ogni opera ha la sua tinta: questa è nera, cupa, tumefatta. Rispetto al Rigoletto , stilisticamente è un passo indietro. In fondo è una storia d’amore e manca un grande duetto che lo sublimi e lo esalti». Nei Trovatori all’estero «c’è la tendenza a tagliare molto, io ne ho fatto solo uno piccolo di otto battute, dopo la cabaletta del baritono, per un maggiore slancio nel finale». E il do di petto in Di quella pira , che Verdi non scrisse ma si fa? «C’è ma non rimane su, lo chiudiamo in basso: è uno sfogo eroico, non isterico. Gli acuti gratuiti non aggiungono nulla, rischiano solo di fare polvere». Il Verdi che rimanda a slanci irruenti e squarci malinconici, però l’orchestra deve essere sommessa rispetto alle voci. Gatti crede in un flusso di sonorità intime e estreme: «È l’opera del mistero? Bene. Ho chiesto ai cantanti di esasperare certi pianissimo, alcune frasi sono appena sussurrate. Un’opera come questa non può essere solo nelle mani del direttore. Abbiamo lavorato senza enfasi eccessiva, non è un buon segno quando certe espressioni veriste si trasportano su Verdi. Cercare una lettura elegante non vuol dire non avere sangue». Ora lo aspettano due concerti con i Wiener Philharmoniker. E l’Italia? «A settembre un tour con l’Orchestre National de France, in ottobre 2015 sarò alla Scala per Falstaff , nel 2016 tornerò dopo otto anni a dirigere la mia ex Orchestra di Santa Cecilia per la Settima di Mahler. Santa Cecilia è un’istituzione storica che merita rispetto, una grandissima orchestra che con Antonio Pappano, lo dico da musicista, sta andando sempre meglio».