Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  agosto 08 Venerdì calendario

LE DIFFICOLTÀ D’INTERVENTO SULLA MANCATA CRESCITA E QUEI SEGNALI NON RACCOLTI


ROMA — Non è la lettera del 5 agosto 2011 che allora Mario Draghi firmò in qualità di governatore della Banca d’Italia, ma poco ci manca. Ieri Draghi da presidente della Banca centrale europea non si è risparmiato nel dare suggerimenti al suo Paese per farlo uscire dalla recessione. Suggerimenti che, come tre anni fa, insistono sulla necessità delle riforme strutturali, dalla giustizia alla Pubblica amministrazione, dal lavoro al Fisco. Il fatto è che sono appunto passati 36 mesi e ciò inevitabilmente fa assumere alle parole di Draghi il senso di un richiamo ai governi che si sono succeduti (Berlusconi, Monti, Letta e l’attuale guidato da Matteo Renzi) per il tempo perduto.
È indubbio che il presidente del Consiglio Renzi e il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, siano apparsi spiazzati dal dato del calo del Prodotto interno lordo dello 0,2% nel secondo trimestre dell’anno. Probabilmente conoscevano la gravità della marcia indietro dell’economia già prima che l’Istat diffondesse ufficialmente il dato l’altro ieri. Del resto la Banca d’Italia, nell’aggiornare, lo scorso 18 luglio, le proprie stime sul Pil 2014 abbassandole dallo 0,7 previsto a gennaio allo 0,2%, era giunta a questa conclusione sulla base di una previsione negativa sul secondo trimestre, che inoltre era stata anticipata dallo stesso Istituto nazionale di statistica nella nota mensile del 30 giugno con una forchetta dove per la prima volta compariva il segno meno (-0,1%/+0,3%). I canali di comunicazione tra governo, Banca d’Italia, Bce sono sempre aperti. Dunque, sorpresa no per il -0,2%, ma spiazzamento sì. Perché il governo si è reso conto che le azioni impostate finora non sono idonee a correggere rapidamente l’andamento dell’economia. Nonostante siano state avviate un buon numero di riforme, sia istituzionali e di sistema sia economiche, queste marciano più lentamente, in alcuni casi molto più lentamente, di quanto Renzi avesse immaginato. E soprattutto l’ordine delle priorità impostato non può essere cambiato in corsa.
Facciamo qualche esempio. Renzi ha dato precedenza assoluta alla riforma del Senato e del Titolo V della Costituzione (federalismo), convinto che essa sia decisiva per velocizzare il sistema legislativo e attrarre investimenti dall’estero. Vero, ma in ogni caso i tempi di questa importante riforma sono lunghi e più di tanto non si possono comprimere: sono necessarie quattro letture (due in ogni ramo del Parlamento) e poi il governo ha promesso anche il referendum. Nel frattempo altre due riforme, quella della Pubblica amministrazione e quella del lavoro sono state entrambe suddivise in un decreto legge, immediatamente operativo, e in un disegno di legge delega che ha tempi abbastanza lunghi. Se tutto va bene i disegni di legge verranno approvati entro la fine dell’anno e poi ci vorrà tutto il 2015 per veder emanati tutti i decreti applicativi delle due riforme. Si tratta di tempi non compatibili con l’obiettivo di dare una frustata all’economia. E che indeboliscono la verve di Renzi quando si rivolge alle istituzioni europee dicendo che l’Italia le riforme le fa da sola e non perché ce lo chiedono loro.
Succede così che ieri Draghi, nella conferenza stampa al termine del Consiglio della Bce, sottolinei che in Italia «l’investimento privato è estremamente debole, la domanda interna resta debole e mancano le riforme che non sono condotte con sufficiente impegno». E aggiunga: «Gli investitori sono scoraggiati dal clima di incertezza che regna in Italia: devono aspettare mesi per ottenere autorizzazioni, 8-9 mesi per arrivare alla fine di un vero e proprio percorso a ostacoli». Incertezza «legata all’assenza di riforme strutturali sui mercati dei prodotti, la burocrazia, il lavoro e il livello giuridico». Riforme, conclude il presidente della Bce, che a questo punto dovrebbero passare sotto la potestà delle istituzioni europee, visto che non tutti i governi marciano alla stessa velocità. «Condividere la sovranità a livello europeo anche per quanto riguarda le riforme strutturali», come «è stato fatto a livello di bilancio», dice Draghi.
Renzi ieri sera ha definito «sacrosante» le parole di SuperMario sull’importanza delle riforme mentre è apparso più cauto sulla cessione di sovranità all’Europa. In ogni caso a Palazzo Chigi sanno che devono accelerare, vorrebbero pure farlo. Ma intanto oggi il Parlamento chiude per un mese.