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 2014  agosto 08 Venerdì calendario

CENTOMILA CRISTIANI IN FUGA DALL’ISLAM OBAMA TORNA IN IRAQ


«La catastrofe si e compiuta: 100mila cristiani sono costretti alla diga disordinata dalle città del nord iracheno conquistate dai jihadisti del Califfato Islamico di Mosul. Hanno dovuto lasciare tutto, persino le scarpe, e scalzi, solo con i vestiti addosso, sono stati instradati a forza verso il Kurdistan.
La loro situazione è disperata perché nel Kurdistan non sanno come ospitare migliaia di persone. Gli jihadisti hanno tolto le croci dalle chiese e bruciato 1.500 antichi manoscritti». Al terribile annuncio di Louis Sako, patriarca caldeo di Kirkuk, si somma quello di Joseph Thomas arcivescovo caldeo di Sulemainyah: «Qaraqosh, Tal Kayf, Bartella e Karamlesh, si sono svuotate e ora sono sotto il controllo dei miliziani islamici». Qaraqosh è o meglio era una città interamente cristiana. Oggi è deserta.
Un disastro che suona come atto di accusa infamante contro l’Occidente e in primis contro il presidente americano Barack Obama e la sua, la nostra, colpevole ignavia. Era tutto scritto, tutto detto, tutto chiaro ma nessuno l’ha impedito. Due anni di «non intervento» in Siria, hanno permesso all’Isil (schiacciato nel 2006 da Bush in Iraq) di conquistare il nord della Siria e poi di espandersi in Iraq. A giugno è caduta Mosul, la seconda città dell’Iraq, permettendo agli jihadisti di impadronirsi di enormi mezzi militari, di 400 milioni di dollari e di raffinerie e pozzi di petrolio. Duecentomila abitanti di Mosul, in larga parte cristiani, sono fuggiti nel vicino Kurdistan, unica isola di resistenza agli islamisti, saturandolo di profughi. Poi la proclamazione del Califfato da parte di Abu Bakr al Baghdadi, con esplicite e immediate proclamazioni di allargamento della sua offensiva a tutto l’Iraq. L’esercito iracheno si era squagliato come neve al sole. Il governo di Baghdad appoggiato dai Pasdaran iraniani ha tentato di riconquistare la strategica Tikrit. Insuccesso totale. Solo i peshmerga curdi hanno resistito, ma non hanno forze sufficienti non solo per contrattaccare, ma persino per resistere, tanto che negli ultimi giorni hanno subito cocenti sconfitte perdendo Zumar e Senjar, la fondamentale diga di Mosul e i pozzi petroliferi di Ain Zalah. Nel frattempo, i miliziani del Califfo segnavano con una «n» da «nazare», nazareno, le case dei cristiani sostenendo che erano proprietà del popolo
dell’Islam e crocifiggevano decine di cristiani «ribelli».
Infine, una persecuzione feroce nei confronti degli Yazidi, la minoranza religiosa dei fedeli di Zarathustra. Ora, l’allarme diventa parossistico: la diga opposta dai peshmerga pare incrinarsi a fronte dell’offensiva jihadista e lo stesso Kurdistan può non essere più al sicuro, nonostante che il premier iracheno al Maliki, feroce avversario dei curdi, abbia inviato inutilmente l’aviazione di Baghdad per difenderli. Né ha alcun effetto sul terreno il declamato impegno dell’Iran degli ayatollah a contrastare gli jihadisti. Ci avviciniamo alla catastrofe più piena, quando un rapido e consistente intervento militare occidentale (e turco) a presidio del Kurdistan avrebbe quantomeno permesso di bloccare l’avanzata jihadista. Ma un Obama sempre più in stato confusionale e in preda alla viltà non l’ha voluto. Papa Francesco ora invoca un «intervento umanitario» e, su pressione della Francia, si è riunito il Consiglio di Sicurezza dell’Onu per affrontare l’emergenza. «Siamo molto preoccupati per l’avanzata dell’Isis», ha dichiarato il ministro degli Esteri francese Laurent Fabius. Ora, secondo il New York Times, la Casa Bianca sarebbe pronta a bombardare le postazioni dell’Isis in Iraq. Staremo a vedere se davvero interverrà.