Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  agosto 08 Venerdì calendario

«FELLINI, TOGNAZZI E GLI AMICI MIEI COSÌ HO MANGIATO CIBO E CULTURA»

Vita da spaccone e guascone di Bergerac, nato in una calda notte di luglio di 67 anni fa, Alain Mességué è come la sua famosa terapia: fonte di benessere. Chiacchierare con lui rilassa e diverte. Figlio primogenito del rinnovatore della fitoterapia moderna Maurice Mességué, che ha 93 anni e sta benissimo - «Cosa mi ha insegnato mio padre? Ad amare la natura, ma soprattutto a cavarsela da soli: da ragazzo a un certo punto mi ha detto: “È ora che ti arrangi”. Ha fatto bene: se resti un figlio di papà, alla fine non combini niente..» -, Alain prima ha seguito la tradizione di famiglia (i Mességué già nel XVII secolo utilizzavano le proprietà curative delle erbe, e nel Medioevo, nella regione della Langue d’Oc, un Mességuié compariva come ufficiale incaricato del controllo delle piante e delle foreste), poi, terminati nel 1970 gli studi di Terapie fisiche all’Università di Tolosa, si è «arrangiato» da solo, coniugando la conoscenza delle virtù curative delle erbe insegnategli dal padre con specialità come la dietetica. La formula Mességué non è un’alternativa alla medicina. È il suo completamento.
«Aprii il primo ambulatorio di fisioterapista ad Antibes, nel ’71. La gente mi diceva: “Sei bravo, però quando i miei genitori andavano da tuo padre dopo un mese stavano già bene”. Così un giorno, nel ’74, ho tolto i diplomi universitari dalle parenti dello studio e ho messo un cartello sulla porta: “Curo con le erbe”. È cambiato tutto».
E cambiando tutto, finì per fare le cose di sempre dei Mességué: unire le erbe e la ricerca medica per procurare all’uomo l’armonia del corpo. E dei guasconi: godersi una vita fatta di amori, battaglie e passioni.
Quattro mogli, mille fortune e sfortune in giro per l’Europa e una passione totale per il lavoro, Alain dalla fine degli anni ’70 acquista la notorietà internazionale, attirando clienti da tutto il mondo, pubblicando libri e elaborando una filosofia di vita, che è quella del vivere meglio. Poi nell’82 per via di un forte «allergia al governo di Mitterrand» decide di venire in Italia. «Nel maggio 1981 - racconta - inizio una trasmissione in una radio di Nizza, tutte le mattine. Proprio in quei giorni François Mitterrand viene eletto presidente della Repubblica. Il conduttore mi chiede se sono contento che la Francia abbia come immagine una rosa, alludendo al simbolo socialista, e io rispondo che presto il Paese si accorgerà che la rosa ha delle spine. Alla sera stessa la trasmissione fu sospesa. E sei mesi dopo avevo gli ispettori del fisco in ambulatorio. Me ne andai in Italia, il Paese di mia madre». Prima Soligo, in provincia di Treviso, poi dal ’94 il lago di Lugano: prima la sponda italiana, a Cuasso al Monte, e poi, pochi mesi fa, quella svizzera, a Collina d’Oro, che una volta era Montagnola, dove visse Hermann Hesse e dove passarono Thomas Mann, Hans Purrmann, Peter Weiss...
Da Alain Méssegué sono passati, si parva licet, Alberto Sordi, Henrik di Danimarca, Morten Grunwald, Gualtiero Marchesi... «E tanti altri, magari non giganti delle Lettere, ma vip della politica, dello spettacolo, del glamour... Adolfo Celi, Aldo Fabrizi, che dovetti mandare via: si faceva mettere le fette di lardo tra un foglio e l’altro delle sceneggiature che gli mandavano in camera; e poi Maurizio Costanzo, Franco Zeffirelli, Naomi Campbell, Silvio Berlusconi, che mi chiamò un giorno, quando era ancora solo imprenditore, e mi chiese se poteva venire da me, ma in incognito... Io dico di sì, certo, e lui arriva in elicottero, figuriamoci... C’erano centinaia di persone ad aspettarlo. “Come incognito iniziamo bene”, gli dissi. Comunque da allora è tornato altre volte e mi ha mandato molti collaboratori: dice che così perdono dieci giorni di lavoro, ma poi per sei mesi sono efficientissimi».
E poi modelle, cantanti, attori che devono prepararsi a un film. «Poi, un po’ di tempo fa, proprio guardando con mio figlio di 12 anni un film, Amici miei, vedendo Tognazzi, Celi e gli altri mi scappa da dire: “Com’erano giovani...”. E lui: “Perché, li hai conosciuti?! Dài, racconta...”. Io dico che ci vorrebbe un libro per raccontare tutto. E lui: “Allora scrivilo”. Beh, come fai a resistere alla richiesta di un figlio di 12 anni?».
Beh, ecco il libro, scritto in pochi mesi raccogliendo i ricordi di così tanti anni: s’intitolerà Anche io so sorridere, nella stesura Alain è stato aiutato dal critico suo amico Gian Paolo Serino, per ora è in mano a un paio di editori “pesanti”, a settembre sarà presentato in anteprima a Parolario, a Como, e uscirà nel 2015, in coincidenza con l’Expo, dove alimentazione e cultura, infatti, s’incontrano.
«Racconto un po’ la mia vita, ma non è la mia storia, semmai quella dei miei clienti e del loro rapporto con il cibo. A ogni personaggio dedico un ritratto e una ricetta». Ad esempio? «Mastroianni: un giorno, nell’85, la mia segretaria mi passa “un certo Federico Fellini” che mi annuncia che da lì a qualche giorno mi avrebbe mandato Marcello Mastroianni, e mi dice: “Ha appena finito di girare a Napoli un film, Maccheroni, e ha messo su qualche chilo. Sa, tra poco dobbiamo iniziare le riprese di Ginger e Fred, è la storia di due ballerini squinternati, che mangiano quando possono... Insomma, deve essere credibile. Me lo rimette in forma?”. Bene. Per due settimane ogni mattina a mezzogiorno Fellini mi telefonava per sapere come stava andando il suo ballerino...». E come andava? «Bene. Glielo riconsegnai in forma perfetta. Mastroianni vinse il David, il Globo d’oro e il Nastro d’argento... Più di così... Ah, come ricetta gli ho dedicato il piccione alla salvia. Perché? Una citazione scherzosa... Il suo film I soliti ignoti in Francia uscì col titolo Le pigeon». «A Tognazzi invece dedico un piatto che la gente dice che sono matto a consigliare come dietetico, eppure... È la pasta e fagioli, di cui peraltro andava matto. Mentre ad Alberto Sordi, che diceva sempre che lui non aveva bisogno di perdere chili e che veniva da me solo per riposarsi - chissà se era vero - ho dedicato gli spaghetti all’uovo senza farina: è un miracolo della cucina molecolare, col sale che indurisce l’uovo che poi si tira come fosse pasta, anche se non lo è. Una vendetta che mi sono preso per la sua famosa battuta in Un americano a Roma: “Maccarone! ... m’hai provocato, e io mo’ te magno!».