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 2014  agosto 08 Venerdì calendario

IRAQ, I JIHADISTI CACCIANO 100MILA CRISTIANI

È una catastrofe da tutti i punti di vista: umanitaria, culturale, ma anche politica. Dopo la cacciata da Mosul, è toccato nuova­mente ai cristiani pagare il prezzo dei “giochi incrociati” dei tre grandi atto­ri iracheni (sunniti, sciiti e curdi). E co­sì l’agognata “zona sicura” nelle pia­nure di Ninive è sparita ancor prima di nascere. Spazzata via da una fulmi­nea offensiva sferrata dai miliziani del Califfato contro i centri storici della cristianità locale: Qaraqosh, Bartella, Karamlesh.
I jihadisti hanno lanciato la loro of­fensiva nella notte tra mercoledì e gio­vedì, poche ore dopo l’improvviso ri­tiro dei peshmerga curdi dalle stesse località, in uno scenario che ricorda molto quello avvenuto domenica scorsa a Sinjar. La spiegazione offerta dalle autorità curde? Impossibilità di reggere l’attacco dei miliziani islami­ci. Nella notte si è vuotata anche Tal Kayf, che ospita una numerosa co­munità cristiana, come pure membri della minoranza sciita Shabak. «Tal Kayf è ora nelle mani dello Stato isla­mico », ha raccontato un residente, Boutros Sargon, anche lui fuggito a Er­bil. «Ho sentito alcuni spari e quando mi sono affacciato, ho visto un con­voglio militare dello Stato Islamico. Gridavano Allah akbar ».
Il risultato è una fuga di massa della popolazione cristiana verso Erbil e Ankawa, oppure verso zone più re­mote, come Dohuk. «Ci sono 100mi­la cristiani sfollati, fuggiti magari con solo i vestiti e a piedi per raggiungere le regioni del Kurdistan», ha detto il patriarca caldeo Louis Raphael Sako. «È un disastro umanitario: le chiese sono state occupate e tolte le croci», ha aggiunto Sako che ha parlato anche di oltre 1500 manoscritti bruciati dai jihadisti.
La Storia si ripete. La nuova invasione dell’Isis è coincisa con la Giornata del martire, celebrata dai cristiani assiti il 7 agosto per ricordare il massacro di Simmel del 1933 in cui l’esercito ira­cheno, insieme a bande irregolari di curdi e arabi, ha annientato la pre­senza cristiana in una vasta zona del nord Iraq. Allora, un deputato irache­no si era riferito agli assiri come «po­polo corrotto» e una «pianta veleno­sa » da estirpare. La reazione internazionale non si è fatta attendere. Il Consiglio di Sicu­rezza dell’Onu ha convocato una riu­nione d’emergenza sull’Iraq (per le o­re 23.30 di ieri, ora italiana) per una consultazione a porte chiuse. Citando fonti dell’Amministrazione statuni­tense, il New York Times ha riferito che il presidente Barack Obama «sta va­lutando l’ipotesi di bombardamenti aerei sui jihadisti». Il portavoce della Casa Bianca ha però affermato al suo briefing che «non ci saranno truppe Usa in Iraq» e che «ogni eventuale a­È zione militare sarà limitata nei suoi o­biettivi », ribadendo la posizione di O­bama secondo cui «non c’è una solu­zione militare alla crisi dell’Iraq, ma quella che serve è una soluzione po­litica ». Josh Earnest ha tuttavia am­messo che in Iraq «siamo vicini a una catastrofe umanitaria», aggiungendo che «la situazione delle minoranze re­ligiose è allarmante e gli Stati Uniti so­no molto preoccupati e pronti ad aiu­tare il governo iracheno nell’affronta­re questa emergenza». Apprensione anche per decine di mi­gliaia di profughi yazidi, in fuga dalle atrocità dei jihadisti. Aiuti umanitari turchi sono stati paracadutati ieri da elicotteri iracheni sulle montagne del­la regione di Sinjar. Aiuti turchi sono stati inoltre consegnati alle migliaia di civili turcomanni pure fuggiti dalle lo­ro case a causa dell’avanzata del grup­po armato. La violenza nel Nord non ha dato tre­gua agli altri centri urbani iracheni. A Kirkuk, città petrolifera oggi control­lo curdo, otto sciiti sono rimasti ucci­si e 40 feriti in un duplice attentato che ha preso di mira una moschea in cui famiglie di rifugiati avevano trovato riparo. A Kadhimiya invece, nel nord di Baghdad, un kamikaze si è fatto e­splodere con l’autobomba che guida­va a un posto di blocco, provocando la morte di 16 persone e il ferimento di altri 40.
Proseguono intanto a Baghdad le ma­novre politiche sulla scelta di un nuo­vo premier. L’Alleanza nazionale ira­chena, un blocco comprendente i maggiori partiti sciiti, sembra vicino a indicare una figura «accettabile a li­vello nazionale». Lo ha detto il porta­voce dell’Alleanza, suggerendo una ri­nuncia di Nuri al-Maliki a ottenere un terzo mandato.