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 2014  agosto 07 Giovedì calendario

LA REINTERPRETAZIONE DEI SOGNI

PARIGI
A che cosa servono i sogni? Semplice, a farci stare meglio da svegli. Prendete questo assunto per vero, o quanto meno per attendibile, perché a formularlo è la comunità scientifica nella sua quasi unanimità, anche se del sogno ancora non esiste una definizione biologica universalmente riconosciuta sono molti gli scienziati a pensarla così. Grazie alle recenti scoperte sul funzionamento del cervello, i neuro-scienziati pensano di disporre oggi, per la prima volta dopo l’Interpretazione dei sogni di Sigmund Freud, pubblicata più di cent’anni fa, di un modello coerente che consentirebbe di capire il perché della nostra vita onirica.
I sogni sono sempre sconcertanti, mischiano personaggi a noi familiari a perfetti sconosciuti, ci precipitano spesso in universi inverosimili raccontando storie per lo più stravaganti. Eppure, di questo fenomeno psichico, che incuriosisce l’uomo fin dai primordi della civiltà, poiché perfino il disegno del bisonte nella grotta di Lascaux è forse la rappresentazione di un sogno, i biologi del cervello avrebbero finalmente individuato le sue principali funzioni. Da un lato servirebbe a “digerire” il vissuto e a trasformarlo in esperienza utile per il futuro; dall’altro, ad anticipare le prove a cui saremo sottoposti preparandoci ad affrontarle al meglio.
Per giungere a queste conclusioni ci sono voluti decenni di ricerche, svolte in centinaia di laboratori sparsi nel pianeta. Ma c’è stata un’accelerazione delle scoperte legata a una sempre più profonda esplorazione del cervello, resa possibile soprattutto grazie a due strumenti. Uno che consente di fotografare le parti dei due emisferi cerebrali in attività, l’altro, l’elettroencefalografia, che ne misura l’attività elettrica. Ma gli scienziati si sono anche avvalsi dell’aiuto, spesso involontario, di tutti coloro che raccontano i propri sogni su siti Internet. In Francia, il più cliccato è L’Onironaute, dove viene anche eletto “il sogno del mese”. E dove il sognatore che usa lo pseudonimo “babsillus” dice di aver una vita così intensa che al mattino, al risveglio, prova l’impressione che la sua vita sia davvero cambiata. O dove la sognatrice “Blue” racconta un sogno in cui il suo occhio destro diventa nero, prima di scomparire del tutto.
Ebbene, come racconta il settimanale L’ Express in una sua recente inchiesta, di questo materiale i neurobiologi hanno fatto tesoro. Anzi, ne hanno fatto una banca. Accade all’Università di Santa Cruz, negli Stati Uniti, che contiene 22mila racconti di sogni, o in quella di Montreal che ne ha già immagazzinati 10mila. Sia detto per inciso, i sogni erotici sono una minoranza: il 4% per gli uomini e solo lo 0,5% per le donne. La teoria secondo cui i sogni aiutano il cervello a fissare nella memoria le nostre esperienze dello stato di veglia capitalizzando la conoscenza e aiutandoci a diventare più efficaci è stata elaborata anche dopo aver analizzato tutto questo materiale onirico.
E Freud in tutto ciò? L’inventore della psicanalisi sosteneva che i sogni raccontano i nostri traumi, le nostre pulsioni represse, i nostri desideri più reconditi. È quando la nostra coscienza dorme che l’ “io” mostra il suo volto profondo. Freud era convinto che il sogno fosse «la via maestra per esplorare l’inconscio ». Con l’interpretazione dei sogni nacque quella disciplina di indagine psicologica profonda chiamata psicanalisi. Ora, sono proprio i neuro-scienziati, o molti di loro, i più feroci oppositori delle teorie freudiane. Già negli anni Cinquanta, con la scoperta della fase di sonno REM, durante la quale un elettroencefalogramma rileva un’attività cerebrale paragonabile a quella della veglia, si tentò di dare una prima spallata alla psicoanalisi. Sorse allora il dubbio che il sogno non fosse altro che un insieme di impulsi nervosi e flussi elettrici.
Ma è giusto opporre neuroscienze a psicanalisi? O non è forse meglio accoppiarle nella speranza di capire meglio il significato dei sogni? Secondo lo psichiatra e psicanalista milanese Vittorio Lingiardi, oggi più mai c’è una possibilità di dialogo tra le ricerche neuro-scientifiche e le ipotesi della psicanalisi. Spiega Lingiardi: «Proprio per quanto riguarda il sogno, la psicanalisi moderna ha abbandonato la lettura freudiana. Il materiale onirico è vissuto come un laboratorio in cui si forma il pensiero. Soprattutto, non c’è più incomunicabilità tra le diverse discipline, perché entrambe considerano cervello e mente la stessa cosa. Basti pensare che il neurofisiologo Vittorio Gallese è stato recentemente premiato dalla Società psicanalitica italiana per aver scoperto un particolare tipo di neuroni».
Anche secondo l’etno-psichiatra Tobie Nathan, autore di “Una nuova interpretazione dei sogni”, (Raffaello Cortina, 2011), i sogni non ci parlano del passato, ma sono invece futuro e previsione. Come se la notte il regista onirico che è in noi dovesse organizzare al meglio il domani. E, in sogno, anticipassimo ciò che potrebbe un giorno capitarci. Quando dormi, insomma, non rivanghi il tuo vissuto, ma prepari il tuo futuro.
L’esperimento realizzato all’Università di Harvard sui ragazzi che imparano a guidare l’auto è già un classico di questo genere di letteratura scientifica. Ebbene, il ragazzo che sogna la lezione appena seguita sarà più abile il giorno dopo. Il sogno può produrre una sorta di simulazione virtuale delle situazioni future, un po’ come lo sciatore che visualizza mentalmente le curve della pista per scenderla più velocemente. Negli Stati Uniti è stata anche individuata una tecnica per sbarazzarsi degli incubi ricorrenti. Per fare ciò basta inventare un epilogo piacevole al brutto sogno, che bisogna però ripetere mentalmente per settimane. Gli scienziati ipotizzano che nel corso di questa terapia il cervello memorizzi progressivamente la nuova versione dell’incubo, quella edulcorata sul finale, fino a eliminare del tutto l’originale.
Certo, sono solo teorie, suffragate però dalla scoperta dei meccanismi fisiologici del nostro cervello. E com’è giusto che sia, l’ipotesi che i sogni aiutino il cervello a trasformare le emozioni in esperienze utili, ma anche ad addolcire i traumi vissuti da svegli per renderli meno inquietanti, ha i suoi detrattori. Primo tra tutti è il neuropsichiatra dell’Università di Harvard Allan Hobson, secondo cui i sogni non servono proprio a nulla perché sarebbero soltanto un sottoprodotto del pensiero. Come diceva il grande junghiano Mario Trevi, scomparso tre anni fa, i sogni sono come ologrammi, poiché si prestano a diversi piani di lettura. Eppure, negli ultimi decenni sono stati pubblicati migliaia di libri e dizionari per cercare di capirli, su Internet esistono quantità di siti per commentarli e di persone, per lo più ciarlatani, che si offrono di interpretarli. Forse perché, com’è scritto nel Talmud, «un sogno non interpretato è come una lettera che non viene letta».
Pietro Del Re