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 2014  agosto 07 Giovedì calendario

LE FAVOLE PROFETICHE

Gli ultimi cinquant’anni offrono interessanti temi d’analisi. Erano l’epilogo d’un quasi miracolo, dopo sbornie d’imperialismo allucinatorio e catastrofi belliche, ma l’egemonia democristiana declina, fondata su fattori negativi. Siamo sotto lo scudo americano: a est incombe Stalin; almeno un elettore su quattro abita nel partito-chiesa d’obbedienza moscovita. Che Palmiro Togliatti imponga regole ancora staliniane, consta dalla disciplina plumbea con cui gli ortodossi, ossia tutti meno pochissimi, aborrono tentativi d’apertura (crisi ungherese e feroce repressione, autunno 1956). La balena bianca miete voti senza sviluppare idee, arenata su equilibri inerti. Lascia le cose quali erano l’ingresso nell’area governativa d’un partito socialista in calo organico. Le anime s’appesantiscono. Nel referendum abrogativo del divorzio, 12 maggio 1974, soccombono i sanfedisti guidati da Amintore Fanfani (59.3% contro 40.7). Il voto politico del 20 giugno 1976 dà ancora una Dc complessivamente stabile ma perde quota al nord: Giulio Andreotti impersona un macabro pragmatismo cinico, uomo d’ancien régime. Lievita il Pci, la cui identità sfuma in eurocomunismo; e se i numeri s’invertissero?; semina paura la P2, compagnia criminale d’affari in divisa massonica, largamente infiltrata negli alti quadri statali. Il bersaglio era Aldo Moro, fatalista malinconico ed ermetico, fautore in prospettiva d’accordi graduali col Pci. Resta un mistero lo psicodramma sanguinoso 16 marzo- 5 maggio 1978: sedicenti Brigate Rosse l’avevano sequestrato e l’ammazzano, con visibile sollievo degl’impettiti sulla linea eroicamente dura; per salvarlo dovremmo venire a patti con gli eversori, quindi muoia. Andreotti adempie la parte d’esecutore. Era perfetto in tale figura.
Motus in fine velocior nella sclerosi del sistema, né avevano chance i diversivi del governo a guida laica: Bettino Craxi, politico senza scrupoli, sbarra le vie convergenti dei due possibili consorti; dovunque un pubblico ministero indaghi, emergono affari loschi; presi dal panico, cantano concussi e corruttori; rischiamo la bancarotta sotto l’assalto alla lira. Completa il quadro l’improvviso collasso comunista: scosso l’impero sovietico, cadono i dogmi, persistendo vecchie oligarchie; non è avvenuta l’auspicabile metamorfosi. Va in scena il capolavoro del burlesque italiano. Tra gli affiliati alla loggia massonica cospirante sulla pelle d’Aldo Moro figurava un ancora poco visibile affarista insuperabile nell’eludere ogni regola: così sopraffà i concorrenti; froda, falsifica, plagia, corrompe, monopolista delle televisioni commerciali, in barba a leggi e sentenze. Avendo gli armadi pieni, non vuol finire in galera né sotto i ponti: salta sul palco gridandosi uomo nuovo, patriota, defensor fidei , devoto ai valori; e batte l’allarme contro gl’inesistenti bolscevichi alle porte. Il primo esperimento governativo dura sei mesi. Due anni dopo, perde di stretta misura, difeso da accordi sotto banco con dei postcomunisti: in colossale conflitto d’interessi dispone d’un triplo potere, economico, mediatico, politico; gli sciagurati credevano d’usarlo e gli consegnano l’Italia. È pura fortuna che al centro del Mediterraneo non nasca una monarchia caraibica: l’Olonese l’aveva in mente, privo d’ogni sentimento o barlume intellettuale inibitorio, né gl’ispiravano self-control i capiciurma, intenti al massimo bottino; non sapendo da che parte cominci il mestiere del governo, commette errori tali da perdere le elezioni 2006.
Irresistibile in campagna elettorale, cava poco dalle vittorie o le disperde al vento. Aveva aperto trionfalmente la XVI legislatura (primavera 2008): a parte le solite squallide trasgressioni, stavolta incappa nella crisi economica, senza capirne un acca, ma ha sette vite; costretto alle dimissioni, rimonta e in persona o attraverso emissari sarebbe ancora lì se non sopravvenisse una banale condanna in materia fiscale, ormai irrevocabile. Non può aiutarlo il rieletto al Colle, assiduo nel predicare “larghe intese” ossia politica subalterna al quasi padrone d’Italia. I consorti aspettavano una decisione politica che liquidasse l’ennesimo reato. Ha perso il seggio nella Camera alta. Qui sopravviene una forse irreversibile dissolvenza dei carismi. Chiamiamola condanna biologica: lo vedono vecchio, stanco, malumoroso sotto lugubre cosmesi, in contesti nient’affatto allegri. L’aspetto più singolare sta nel come identifichi il successore quando nessuno ne parla: sapendo del giovane sindaco fiorentino, l’ha invitato nella reggia d’Arcore; peccato non avere sotto gli occhi l’agnizione. È triste sentire effimero l’Io (stato d’animo inconsueto tra pirati), e v’insiste uno dei figli lodando l’erede. Spirano atmosfere da fiaba gotica. Avvenga o no, sta nel verosimile Matteo Renzi addobbato da re taumaturgo, con largo sèguito tra quanti applaudivano Berlusco Felix. In tal caso allignerebbe un personale politico a quattro livelli: l’Unico governa dall’empireo, senza molesti contrappesi; i media rendono culto spontaneo; gli oligarchi esercitano poteri in equilibrio (spiccano Loris Verdini, bianca chioma leonina, e Massimo D’Alema, tessitore letale); severe precedenze misurano il rango nella casta; vengono dalla plebe informe gli aspiranti a mettervi piede. Non esiste più luminaria ideologica: restano due maschere permutabili, moderati e progressisti; vista dentro, la Connection è guerra permanente, da catena alimentare, ma rituali d’agonismo sorvegliato garantiscono l’integrità del corpo mistico. I selettori marchiano chiunque pensi.
Spesso le fiabe colgono aspetti meno visibili d’una realtà futura o futuribile. Qui viene utile l’avverbio optativo latino utinam , al negativo: “Dio non voglia che”; sarebbe un’Italia berlusconoide, sfrontata, povera in morale, intelletto, economia.
Franco Cordero, la Repubblica 7/8/2014