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 2014  agosto 07 Giovedì calendario

PERISCOPIO

I soldi pubblici non esistono. Non ci sono che i soldi dei contribuenti. Margaret Thatcher. The Economist.

Se ci sono dei politici con le mani pulite, vuol dire che hanno rubato il sapone. Scritta sul portico di San Lorenzo, Milano, in corso di restauro.

Per anni Ballarò di Floris ha avuto successo (ora un po’ meno) per tanti motivi: dalla passione nazionale per la chiacchiera vacua e retorica, alla forza della rete, Raitre, identificata da metà degli italiani come un baluardo di resistenza antiberlusconiana. Con una versione molto leggera della passata Samarcanda, il soldato Floris ha comunque incassato, negli anni del regime televisivo berlusconiano, il «voto» di un pubblico di sinistra orfano di Santoro e disgustato dal vespismo dilagante. Ora Floris andrà a La7 dove guadagnerà più del doppio e farà la metà e forse meno di spettatori perché la concorrenza è forte e agguerrita (il Santoro vero, Mentana e Gruber, più Formigli e Paragone) il suo azionista di riferimento, D’Alema e compagni, è passato di moda. Amen. Curzio Maltese, ilvenerdì.

Sto lontano da radio e televisione: la superficialità brucia la lingua e quando ti scotti non senti più i sapori. Alessandro Bergonzoni. ilvenerdì.

García Marquez viveva in una «Casa Governativa» con Blanquita, la sua amante teenager (che era abbastanza giovane da poter essere sua nipote). Il vincitore del Nobel aveva una Mercedes Benz bianca, un altro regalo da parte del suo amico Fidel Castro, e diversi privilegi, come ricompensa per la difesa della dittatura di Castro, il tutto mentre vestiva i panni del dittatore Pinochet. Armando Valladares. National Review.

Con tutta quest’acqua in giro per le strade e Roma e il sale che aveva distribuito Alemanno, che famo? Aspettiamo che bolle e buttiamo la pasta? Anonimopugliese.

La storia non tollera gli intrusi, sceglie essa stessa i propri eroi e respinge spietatamente coloro che non ha chiamato, anche se tanta è la pena che si sono dati; chi è caduto dal carro del destino, non vi può più salire. Stefan Sweig, Storia di una caduta.

L’esperienza della scalata trascende l’atto fisico per caricarsi di significati simbolici: basta arrampicarsi su una pianta di un certo rispetto, sulla torre del paese o meglio su un’altura montana, per accorgersi che il mondo della pianura e i relativi riferimenti cambiano proporzioni. Guardandolo dall’alto, il grande diventa minuscolo, ciò che era importante passa in secondo piano. Le priorità della vita quotidiana evaporano e si confondono via via che si fa il vuoto, fino a dissolversi in una presenza affettuosa ma distante. Enrico Camanni. La Stampa.

In alcuni teatri tedeschi all’epoca di Antonio Guarnieri (1880-1952), un maestro famoso che diresse nei più importanti teatri stranieri, il direttore rimaneva seduto, non solo durante le prove ma anche durante l’esecuzione (si pensi alla lunghezza delle opere wagneriane). Questo determina una tecnica alternativa: alzandosi e abbassandosi sullo sgabello, l’orchestra interpreta questo movimento come un crescendo o un diminuendo. Il Guarnieri, chiamato a dirigere in Germania, ignaro di questa per lui insolita prassi, vede sul podio uno sgabello e ci si siede comodamente. Tutto bene, finché il direttore accenna un breve spostamento per dare enfasi a una precisa sezione dell’orchesta, e invece questo suo movimento coincide con un crescendo di tutta l’orchestra. Con il ripetersi dell’episodio, il direttore capisce l’arcano e, un po’ scocciato, ma anche divertito, esclama in dialetto veneziano: «Qui non si può neanche scoreggiare in pace». Qualche italo-tedesco capisce la battuta e allora l’orchestra abbandona la sua singolare consuetudine rispettando attentamente solo i cenni del maestro. Gianfranco Plenizio, Bizzarie musicali. Zecchini Editore.

L’Italia ha bisogno di gente che lavori. Basta consulenti, basta fancazzisti che passano la vita a chiacchierare. E non ha colpa di questo andazzo il governo perché sono le famiglie che decidono come debbono essere allevati i figli. Gianni Pietroboni, progettista. Il Giornale.

La mia giovinezza è stata una girandola di felicità e di dolore. Avevo sei anni quando è morto mio fratello di dodici. Per anni mia madre ha continuato ad apparecchiare anche per lui. Per tutta la vita, lei e mio padre, sono andati ogni giorno al cimitero. Andavano in Vespa anche d’inverno. Niente li fermava: pioggia, grandine, neve. Mia madre, piena di reumatismi, diceva: «Colpa di tuo padre, nemmeno la patente s’è riuscito a prendere». Rocco Siffredi, pornoattore. ilvenerdì.

Rivedeva Palermo nel giorno della liberazione da parte dei garibaldini. Un uomo correva di vicolo in vicolo tra le case scalcinate dell’Albergaria, inseguito da una torma di demòni che gridavano: «U surciu, u surciu» (cioè, il sorcio, il poliziotto dei Borbone) e sua eccellenza avrebbe voluto essere altrove per non dover assistere allo strazio di quello sconosciuto ma non aveva avuto la possibilità di allontanarsi perché il sorcio era stato raggiunto e giustiziato in un batter d’occhio: una coltellata gli aveva trapassato il cuore, un’altra coltellata gli aveva tagliato la gola, una pietra gli aveva spappolato il cranio. Sebastiano Vassalli, L’italiano. Einaudi.

All’uscita dal ristorante inciampiamo nello stralunato Villy Ferrero; ha gli abiti trasandati ma la voce e l’intelligenza veementi; parla di musica, di politica, di donne e di cattivi costumi. Dimena ininterrottamente quel suo fragile scheletro. Invecchiato e deluso. Dice: «Beato te che credi ancora a qualche cosa ancora!». È tardi. Scendiamo per la Rotonda. Arriva fino a noi, soffocata, una musichetta jazz. A piazza San Luigi dei Francesi, Villy si allontana bruscamente: «Ciao a tutti» dice, e se ne va. Lo vedo imboccare via della Scrofa, starnazzando come un uccello notturno. Franco Monicelli, Il tempo dei buoni amici. Bompiani, 1975.

Ieri Sant’Imbottigliato, era la festa dell’automobilista italiano. Amurri & Verde, News. Mondadori, 1984.

La pace dei sensi ci toglie la pace. Roberto Gervaso. il Messaggero.

Paolo Siepi, ItaliaOggi 7/8/2014